Assunta Imperante è la sorella di Ciro Imperante, condannato all’ergastolo in via definitiva nel giugno 1987 assieme a Luigi Schiavo e a Giuseppe La Rocca perché ritenuti, dalla magistratura, i responsabili del massacro di Ponticelli (Napoli): l’orrendo assassinio di Nunzia Munizzi (10 anni) e della sua amica Barbara Sellini (7 anni). Seviziate ed uccise con un coltello (Nunzia fu anche violentata), bruciate in un canalone sabbioso alla periferia di Cercola. Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca non corrispondono assolutamente alla descrizione dell’uomo che quella tragica sera si allontanò con le due bimbe a bordo di una Fiat 500 blu (nessuno dei tre possedeva una simile auto per giunta); avevano degli alibi, confermati dai testimoni; non erano dei pedofili sadici/violenti. La loro condanna si basa esclusivamente sulle dichiarazioni fasulle del teste d’accusa Carmine Mastrillo. Tornati in libertà dopo 27 anni di carcere Ciro, Luigi, Giuseppe non chiedono nessun risarcimento danni ma aspettano una revisione processuale e la totale riabilitazione dei loro nomi.
Assunta Imperante ha inviato alla redazione di Periferiamonews.org e al sottoscritto Daniele Spisso (autore di tre accurati servizi sull’intera vicenda, pubblicati per questo stesso web-magazine tra marzo ed aprile di quest’anno) una lettera aperta all’opinione pubblica nazionale. Abbiamo deciso di farla propria e di divulgarla attraverso questo articolo perché crediamo fermamente – avendo esaminato gli atti processuali – nell’innocenza di Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca; perché abbiamo preso molto a cuore questa terribile storia; perché è anche diritto/dovere dell’informazione reclamare verità e giustizia quando – studiati gli atti processuali – emerge con indiscutibile chiarezza l’assoluta mancanza di prove di colpevolezza a carico dei condannati; perché siamo convinti che ci troviamo dinanzi ad un gravissimo errore giudiziario – frutto di una macchinazione giudiziaria – che ha vergognosamente sporcato i nomi e la reputazione di tre cittadini innocenti, perbene, onesti.
Lettera aperta di Assunta Imperante:
“ Il caso dei “mostri di Ponticelli” è la storia di due bambine massacrate nonchè di tre ragazzi innocenti, appena diciottenni nel 1983, sottratti alla loro vita, accusati, esposti all’odio e al disprezzo del mondo intero, prima di essere sepolti vivi in una cella. Cinque famiglie ne sono uscite distrutte assieme a loro. Le prove di innocenza? La prima e’ la completa assenza di prove concrete di colpevolezza! Solo verbali firmati nella Caserma dei Carabinieri Pastrengo di Napoli (sui cui militari responsabili degli interrogatori di Polizia giudiziaria pendono, da parte dei firmatari, denunce di intimidazione e violenza). Verbali che furono poi ritrattati: in una situazione del genere è impossibile reggere il peso di tre condanne all’ergastolo. Una dichiarazione firmata e’ una prova, certo, ma solo se viene resa spontaneamente da un teste tutelato (Vincenza Nocella – uno dei testimoni, fidanzata di Salvatore La Rocca fratello di Giuseppe – aveva 16 anni, fu interrogata per ore e non fu permessa nemmeno la presenza della madre); solo se il contenuto indica qualcosa di verosimile. Soprattutto: solo se ha riscontri oggettivi. Quei verbali non presentano nessuno di tali requisiti! In questa storia viene vantato il “reo confesso”. Allora perche’ gli inquirenti non si sono fatti consegnare l’arma del delitto? Perche’ non conoscono il luogo dove le due bambine sono state uccise? Un impianto accusatorio assurdo per i tempi e per i luoghi indicati. Noi eravamo convinti, stando così le cose, che sarebbe crollato ai primi controlli da parte del Giudice istruttore o dei Giudici del processo di 1° grado. Se controlli ci fossero stati! In Tribunale abbiamo invece assistito solo a una strenua difesa di quell’impianto accusatorio, con una determinazione tale che nessuna macroscopica prova d’innocenza riusciva a scalfire. Nulla: ne’ i testimoni che collocavano, la sera del 2 luglio 1983, i ragazzi in posti che non avevano nulla a che vedere con il rione Incis di Ponticelli, ne’ la perizia Medico-legale che parlava di una sola mano omicida (precisamente di un sadico che aveva adoperato un’ arma da punta e taglio con le caratteristiche di un coltello a serramanico. Non un “ferro di fortuna trovato sul luogo” come sostenuto dalla ricostruzione, come dichiarato dal teste d’accusa Carmine Mastrillo). Fu respinta anche la richiesta di perizia psichiatrica su Salvatore La Rocca (il “reo confesso” di favoreggiamento: aiutare ad occultare i corpi delle due bimbe dopo l’omicidio): al processo dichiaro’ di aver firmato i verbali del suo interrogatorio solo perche’ sottoposto a torture tali da fargli credere che non sarebbe uscito vivo dalla caserma Pastrengo di Napoli. A chi spettava decidere quale era il suo limite di resistenza se non ad un esperto? Possono i Giudici sostituirsi al medico legale, agli psicologi ed ai criminologi? Non e’ stata concessa a quei ragazzi nessuna chance di difesa; non c’è stata nessuna considerazione per le altre tre giovani vite coinvolte in questa vicenda. Il tutto si e’ deciso sulla Caserma Pastrengo. Dunque a cosa serve un processo? Le denunce di percosse furono tante e tali da indurre il Pm, in una delle udienze, ad aprire un’inchiesta. Nessuno dei denuncianti fu mai convocato, nessun confronto con i Carabinieri fu mai predisposto (nonostante i ragazzi li avessero descritti e si fossero dichiarati in grado di riconoscerli, nonostante i referti medici – rilasciati dal carcere di Poggioreale a Napoli – attestavano le sevizie subite da Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe e Salvatore La Rocca.
Si puo’ condurre un’inchiesta senza interpellare né denuncianti ne’ denunciati? Senza predisporre alcun confronto tra gli uni e gli altri? A questo punto è lecito chiedersi: l’inchiesta fu aperta per accertare la verita’ o fu aperta solo per dimostrare ai giornalisti – sempre presenti in gran numero durante le udienze del processo – che la magistratura non era indifferente a denunce cosi gravi ? L’inchiesta fu archiviata in silenzio dopo la condanna all’ergastolo degli imputati. C’è ancora chi, dopo 40 anni, sostiene la loro colpevolezza solo perche’ ritiene che tre gradi di giudizio concordi sullo stesso verdetto rendono impensabile uno sbaglio da parte dei Giudici di merito e di metodo. Io sostengo che in 1°grado era doveroso stabilire la verita’! Cosa hanno ereditato invece i collegi giudicanti della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione? Dei verbali d’accusa ritenuti sacrosanti, un’inchiesta archiviata con un “nulla di fatto’, testimoni a discarico ritenuti tutti falsi! Non mi risulta che in 2° grado ci siano state ulteriori indagini, ulteriori controlli, escussioni per acquisire una verita’ libera da qualsiasi pregiudizio. E’ evidente che i giudici – anche quelli della Corte d’Appello e della Corte di Cassazione – sono stati influenzati dai risultati gia’ acquisiti. Hanno preferito allinearsi agli stessi. I testi che avevano confermato gli alibi dei tre accusati sono stati ritenuti falsi a priori; non è stato ritenuto necessario convocare di nuovo il teste chiave, Carmine Mastrillo: ha accusato i tre imputati dopo tante contraddizioni, in Corte d’Assise di primo grado ha ritrattato le sue stesse accuse, ha successivamente ritrattato la ritrattazione tornando ad accusare gli imputati solo dopo richiesta di arresto in aula da parte del Pm. Ora però la verita’ sta venendo fuori! Questo e’ stato lo scopo della nostra vita per 40 anni, continueremo a lottare per tutti gli anni che ci rimangono. Questa non e’ un’ ingiustizia alla quale ci si può rassegnare! Quei ragazzi avrebbero avuto mille occasioni di sparire, di cancellare dalla propria mente questo Paese che li ha maltrattati! L’idea non li ha mai neanche sfiorati. Hanno voluto affrontare quell’accusa assurda a costo della condanna, a costo del carcere, forti della loro innocenza. Nascondersi significava non potersi difendere! Ciro, Giuseppe e Luigi hanno potuto finalmente far sentire la loro voce, dopo essere stati zittiti per anni in quanto nessun giornale osava mettersi contro una sentenza passata in giudicato. Abbiamo gia’ ricevuto tanta solidarieta’, aiutateci a dimostrare che gli italiani hanno capito, che oggi l’opinione pubblica ci sostiene. Continuate a firmare la petizione Chiediamo la revisione del processo per l’ omicidio delle bambine di Ponticelli su Change.org. La verita’ dara’ giustizia non solo a Ciro, Giuseppe e Luigi ma anche a Barbara e Nunzia. La verità forse contribuira’ a far sì che nessun altro essere umano possa vivere una simile esperienza, contribuirà a limitare da ora in avanti gli abusi di potere ed a favorire il rispetto dei diritti umani “
Il sottoscritto Daniele Spisso e la redazione di Periferiamonews.org si augurano che le parole di Assunta Imperante facciano breccia nel cuore, nei sentimenti, nella coscienza dei cittadini di questo Paese.
Anche perché negli ultimi mesi si intravede una possibilità concreta per arrivare all’identificazione del vero autore dell’assassinio di Nunzia e Barbara: una signora – oggi 50enne – che nel 1982 (quando era una bambina di 10 anni) risiedeva a s. Giorgio a Cremano ha – attraverso una fotografia datata 1983, mostrata in tv di recente – identificato in un uomo (giovane nel 1982 – oggi ancora vivo) colui che nel dicembre 1982, a bordo di una Fiat 500 blu, la fece salire con l’inganno sulla propria vettura con brutte intenzioni, portandola in direzione di Ponticelli.
La signora, presentatasi all’opinione pubblica con il nome Eva, ha raccontato tutto questo al programma televisivo Le Iene (il servizio, molto importante e abbastanza clamoroso, è andato in onda lo scorso 9 maggio).
Quest’uomo fu interrogato nell’estate del 1983 proprio in relazione al massacro di Ponticelli: perché fu visto in compagnia di Nunzia e Barbara (trattenendosi a parlare con loro) la sera antecedente il delitto delle due bimbe; perché fornì un alibi falso in relazione al pomeriggio dell’assassinio di Nunzia e Barbara; perché all’epoca adoperava per gli spostamenti una Fiat 500 blu di proprietà del fratello; perché un altro fratello suo organizzava le corse clandestine dei cavalli lì dove l’assassino abbandonò e dette alle fiamme i corpi senza vita delle due povere bimbe; perché accusò (prima di Carmine Mastrillo) Ciro Imperante-Luigi Schiavo-Giuseppe La Rocca di questa storia con dichiarazioni che si rivelarono fasulle; perché tentò di depistare le indagini nel momento in cui gli inquirenti sospettarono di lui per il massacro di Ponticelli (motivo per il quale fu incarcerato per un mese).
Nel 1983, sul suo conto, la Polizia giudiziaria scrisse chiaramente (nero su bianco) di ritenerlo a conoscenza di fatti inerenti l’omicidio di Nunzia e Barbara (in tal caso i suoi depistaggi erano serviti a coprire il vero assassino) oppure lo ritennero coinvolto di persona nel duplice delitto (in tal caso i depistaggi erano serviti ad allontanare da sé ogni sospetto degli inquirenti).
Carmine Mastrillo conosceva questo ragazzo interrogato nel 1983: in un verbale d’interrogatorio (poi ritrattato) asserì di aver saputo da due ragazzine di Ponticelli che questo giovane conosceva l’assassino di Nunzia e Barbara in quanto aveva dato un appuntamento alle stesse la sera del 1° luglio 1983. Mastrillo aggiunse di aver taciuto fino ad allòra questo racconto per paura nei confronti di questo giovane.
Elementi per mandare avanti l’inchiesta ed arrivare alla verità sulla identità del vero colpevole ce ne sono. Confidiamo nella Commissione parlamentare antimafia.
Attendiamo fiduciosi.
Daniele Spisso
