Nino D’Angelo, il poeta che si era fermato alla terza media 

E’ uno dei simboli artistici, viventi, di Napoli. Negli anni ottanta, nella nostra città, la sua popolarità era seconda solo a Diego Armando Maradona. Anzi, forse viaggiavano sullo stesso livello di consensi. C’era chi lo adorava, considerandolo uno dei più forti paladini dell’identità napoletana, dentro e fuori il Sud, e chi lo contestava, definendolo una “macchietta” che impediva l’emancipazione culturale di una città che rischiava di rimanere “legata” ai vecchi clichè di una Napoli all’inegna della pizza e del mandolino. Per fortuna ad un certo punto della sua lunga carriera, il “fenomeno” Nino D’angelo ha iniziato ad essere “studiato”, quindi capito, dal mondo intellettuale; in particolare, il saggista e critico d’arte Goffrredo Fofi, invitò ad ascoltare D’Angelo con un’attenzione maggiore rispetto a quella riservata alla canzonetta leggera, per evidenziare la grandezza di un personaggio che, partito da zero, rappresentava la voce di chi vuol dare voce ai socialmente afoni. Insomma, con questo sdoganamento, abbinato ad un oggettivo cambiamento del genere musicale proposto dallo stesso cantautore, all’insegna di una evidente maturità dei contenuti delle canzoni, Nino D’angelo ha iniziato ad essere considerato anche da coloro che negli anni precendenti tendevano a snobbarlo, approcciandosi a lui con atteggiamento spocchioso.

Nino nasce a Napoli il 21 giugno 1957, da papà Antonio e mamma Emilia. Il quartiere è San Pietro a Patierno, lui è primo di sei figli, soldi ce ne sono pochi e ci si arrabatta alla meno paggio: “mia madre era casalinga, mio padre inizialmente faceva il ciabattino -dichiarò in una intervista degli anni ottanta a Domenica In- poi lui venne assunto per lavorare in stazione, come fattorino e io fui chiamato a vendere i gelati ai passeggeri, attirandomi le loro simpatie cantando mentre lavoravo”.

Studia fino alla terza media, proprio in quel periodo incontra la professoressa Vitale, docente di lettere, che lo definisce “il poeta che non sa parlare”, per sottolienare l’umanità e l’originalità dei temi scritti da Nino, con una grammatica (scritta e verbale) che tradiva lacune.

“Il poeta che non sa parlare”, ovviamente non a caso, è il titolo del suo quinto ed ultimo libro, uscito nel 2021.

Nino (all’anagrafe Gaetano) D’Angelo inizia a  cantare nei ristoranti e nei matrimoni, con canzoni “sceneggiate” dagli argomenti drammatici e forti. Gli davano 5 mila lire a giornata.

Nel 1976 scrive “A storia mia”, la sua prima canzone “da vendere” col mercato discografico, prodotta con la partecipazione economica dei suoi genitori: nel 1974 aveva conosciuto Vincenzo Gallo, un artista che scriveva canzoni e che aiutava i giovani dei quartieri napoletani a mettersi in evidenza nel mondo della musica; Gallo lo invitò a casa propria, qui Nino conosce Annamaria, allora di 11 anni, figlia dello stesso Vincenzo. Quella ragazzina diventerà sua moglie, dandogli due figli, Antonio e Vincenzo. Grazie a Gallo, il nostro cantante napoletano incide le sue prime canzoni, andando a vendere i dischi attraverso un “porta a porta”, che risulterà un metodo azzeccato.

Nasce così l’epopea artistica di un cantautore che inciderà 37 album (tra il 1976 e il 2021), 3 Lp dal vivo, 18 raccolte e una marea di singoli. D’Angelo ha partecipato a 6 Festival di Sanremo (1986, ’99, 2002, ’03, ‘010 e ‘019) e, come abbiamo scritto prima, ha pubblicato 5 libri.

Poi, ci sono i film: tra il 1981 e il 2022 ha partecipato a 26 pellicole, più una miniserie Tv. E’ stato inoltre regista di “Giuro che ti amo”, del 1986 e di “Aitanic”, del 2000.

Nino D’angelo ha cantato in tutto il mondo: quando ancora in Italia era snobbato, lui si esibiva all’Olympia di Parigi, al Teatro del quartiere Wembley di Londra e al Madison Square Garden di Manhattan.

“Negli anni ottanta cantavo nei più prestigiosi luoghi artistici mondiali, vendevo tantissimo, ma in Italia nelle classifiche non mi facevano entrare e i teatri per me erano una chimera. Nella mia Napoli riuscivo a stento ad esibirmi all’Arcobaleno di Secondigliano”, raccontò alcuni anni fa con una punta di amarezza. Poi, dalla fine degli anni ottanta, le cose cambiarono.

E la cultura? Quella che avrebbe voluto conoscere ma che, per problemi economici, da ragazzino non riuscì ad inseguire come avrebbe voluto?

“La cultura è come l’aria, è un diritto per tutti. E il teatro è cultura, quindi anch’esso deve essere un diritto” .

Ed  è proprio inseguendo questa sua idea, che una quindicina di anni fa diede un contributo importante nel far tornare in vita il Teatro Trianon-Viviani di Forcella, diventandone anche per qualche periodo Direttore Artistico.  

Fabio Buffa

Lascia un commento