Renato Carosone ha rappresentato e rappresenta tutt’ora, uno di quei simboli di Napoli, per interdeci, quelli conosciuti (e riconosciuti come un marchio di fabbrica) in tutto il mondo. Addirittura fuori dall’Italia sono stati diversi gli artisti musicali che nel nome, si sono ispirati a Carosone, carpendone poi i ritmi e le sonorità: come Tonino Carotone, cantautore spagnolo, che dichiarò di aver scelto il proprio nome d’arte (all’anagrafe lui fa Antonio De La Questa), ispirandosi proprio al cantante napoletano. Tra l’altro collaborandoci alla fine degli anni novanta. Renato Carosone (il cui vero cognome era Carusone) nacque in Vico Tornieri, vicino a Piazza del Mercato, il 3 gennaio 1920. Il suo colpo di genio fu quello di rendere eterne canzoni scritte (in lingua napoletana) ottant’anni fa. Pianista di livello eccezionale, è una di quelle personalità che, malgrado non sia più in vita, quando si cita viene quasi istintivo parlare al presente, perchè i suoi lavori artistici rimangono indelebili col passare del tempo.
Carosone rappresentò una vera rivoluzione musicale, che mescolava la canzone napoletana con i ritmi africani e con quelli americani, elevandosi al Jazz.
Renato amava ricordare, con spirito un po’ fiabesco, che appena uscito dal grembo della madre, il primo suono che espresse fu “la”, come la nota musicale. E amava dare significati metaforici alla tastiera del pianoforte, vista come la contrapposizione tra il bianco e il nero, oppure come una scala da percorrere pian piano, fino al successo.
Dal 1935 fino a pochi mesi prima di mancare, è stato uno dei maggiori autori e interpreti della musica leggera. Tu vuò fa’ l’americano, ‘O Saracino, Torero, Caravan Petrol, Maruzzella e Pigliate ‘na pastiglia, sono i titoli di alcuni dei suoi più grandi successi, rimasti indelebili nella memoria, di generazione in generazione. Il suo successo fu intenazionale e sbarcò negli Usa, senza neppure che Renato rinunciasse alla lingua italiana, anzi napoletana.
La sua non fu un’infanzia facile: Carosone perse la madre quando aveva soli 7 anni e il padre diventò la colonna portante della famiglia. E fu proprio il babbo (Antonio, mentre la madre si chiamava Carolina Daino) ad instradare Renato verso la musica.
Appena riuscì a diplomarsi in pianforte (era il 1937) partì per un’esperienza artristica in Africa, dove per nove anni è pianista, direttore d’orchestra e militare.
Tornato in Italia (con un bagaglio di sonorità certamente contaminate dai ritmi africani) costituisce il suo famoso complesso, che negli anni cinquanta divenne il mitico sestetto.
Dopo un periodo di ritiro dalle scene, si ripresentò prepotentemente nel ’75 alla Bussola, in Versilia, con ben 19 musicisti ad accompagnarlo. L’Italia lo acclama, considerando che quell’evento toscano fu trasmesso alcuni giorni dopo su Rai 1.
La carriera di Carosone riprende così, sempre caratterizzata dalla bravuta artistica, dalla simpatia e da quell’allegria un po’ amara, che caratterizza il carattere dei veri artisti.
Un vero artista ricordato e amato da tutti, per la sua correttezza nei rapporti con i colleghi e la sua generosità verso il pubblico. Morì il 20 maggio 2021; ai funerali parteciparono circa cinquemila persone, per un abbraccio straordinario che, attraverso le sue canzoni, continua tutt’ora.
Fabio Buffa
