Il maestro di karate Giuseppe Romano si racconta: «I miei successi sportivi con Secondigliano nel cuore»

La passione per il karate, il legame con il quartiere che ha visto nascere la sua carriera e il continuo desiderio di puntare in alto contraddistinguono Giuseppe Romano, campione pluripremiato di karate che ha portato la sua esperienza professionale in giro per il mondo, allenando varie squadre di karate di diverse nazioni, fino ad essere soprannominato “l’allenatore dei quattro continenti”.

Quando e come nasce la sua passione per il karate?

Ho cominciato a fare karate all’età di 8 anni, in realtà fu mio padre a spingermi ad andare in palestra perché voleva che imparassi un po’ a difendermi, dato che abitavo nella zona di Masseria Cardone che non era molto tranquilla perchè frequentata da gente di ogni tipo e capitavano anche delle piccole risse. Quindi posso dire che la mia carriera inizia da una palestra tra Secondigliano e Casavatore: da questa palestra ho mosso i miei primi passi poi in una palestra nel centro di Napoli e posso dire che da lì sono cominciate le soddisfazioni.

Da atleta ad allenatore internazionale: quali sono stati i passaggi segnanti e i traguardi raggiunti?

Da atleta, ho vinto tre campionati italiani, una coppa Europa ed una coppa del mondo. Poi ho cominciato ad essere allenatore di varie nazionali straniere: la mia prima esperienza dove ho lasciato un segno come coach sono le Filippine, squadra che ho allenato dal 2002 al 2005. Con loro, abbiamo vinto tre edizioni dei “Sea Games”, un argento agli “Asian Games” che sono un po’ le Olimpiadi del mondo del karate e poi, sempre agli “Asian Games” un argento e due bronzi. Dopo l’Asia, mi sono spostato in India fino al 2009, poi ho preparato la nazionale della Moldavia per le Olimpiadi e nel 2010, mi sono trasferito in Africa: ho avuto la mia esperienza in Libia nel periodo in cui c’era al potere Gheddafi, poi dovetti scappare a causa della guerra, ma riuscii a preparare la squadra per i Mondiali. Altre esperienze entusiasmanti sono state quelle in Botswana, per 2 qualificazioni olimpiche giovanili nel 2018 e per le qualificazioni olimpiche di Sofia e in Croazia e in Cambogia, dove sono stato allenatore per l’anno successivo. Con il Covid c’è stato un periodo d’arresto e adesso, nel 2023, ritorno in Libia con un nuovo incarico come allenatore.

Come pensa di organizzare gli allenamenti con la squadra libica, considerando anche la grave emergenza causata dall’uragano Daniel?

Attualmente stiamo programmando per gli atleti libici un camp training in una palestra a Castevolturno, dal 3 ottobre al 15 dicembre. Tutte le nazionali che ho allenato, dopo un periodo in cui mi sono trasferito io lì da loro per conoscerle, sono sempre venute in Italia per le sessioni allenamento: questo perché i ragazzi qui in Italia affrontano e fanno esperienza nelle competizioni italiane, perché il karate italiano è ad un livello alto. In particolare, venendo qui in Italia, la nazionale libica potrà partecipare ad una competizione mondiale a Venezia con i suoi giovanissimi atleti. Ogni nazionale che ho allenato copriva l’intera fascia dai juniores ai seniones, è ad incarico unico.  La Libia attualmente sta affrontando un momento molto difficile e delicato, l’uragano ha spazzato via interi quartieri e ha devastato tante città: la Libia è divisa al suo interno, ha due governi nazionali, uno a Tripoli ed uno a Bengasi. Questo è stato motivo di guerra negli anni precedenti, ma oggi invece è bello vedere che, in questo disastro, ci sia solidarietà tra questi popoli che sono fratelli e che per troppo tempo si sono fatti del male a vicenda. Auguro a questa nazione di rialzarsi presto.

Dato che è da molti anni nel mondo del Karate, ha avuto modo di considerare la sua evoluzione in Italia e all’estero?

Ho notato che in Paesi come le Filippine, la Cambogia, il karate è uno sport molto popolare, gli atleti vengono riconosciuti per strada, come sono stato inondato di affetto anche io, anche dopo anni che non andavo in quelle zone. Qui in Italia adesso sta cominciando ad essere più popolare, anche grazie ai social media e allo streaming. Quindi mi sento di aver vissuto un’evoluzione del karate, da quando era considerato un cosiddetto “sport minore” ad oggi che è uno sport affermato e considerato anche dal punto di vista olimpico.

Considerando la sua brillante carriera sportiva, ha ancora un sogno nel cassetto?

Dopo tutti i miei traguardi, non penso che sportivamente parlando io possa avere sogni nel cassetto. Sono molto soddisfatto del mio percorso, ho conosciuto posti che mi hanno fatto comprendere il vero valore della vita anche quando si vive nei cosiddetti “luoghi poveri del mondo” e ho capito che è una questione di punti di vista, perché la gente lì è ricca davvero: di sorrisi, di amore e di gioia, nonostante combatte per un pugno di riso. Posso dire che invece ho un grande rammarico: non ho potuto partecipare come allenatore all’unica Olimpiade, Tokyo 2020, che ha previsto il karate come disciplina, ma sono arrivato con la squadra della Cambogia solo alle qualificazioni. A quell’Olimpiade parteciparono pochissime nazioni a causa delle restrizioni, però mi dispiace tutt’oggi non avervi preso parte perché attualmente, nelle prossime Olimpiadi, il karate non è stato previsto.

Sara Finamore

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