Sulle tracce di Ilaria – parte 2: tutti i dati più inquietanti sul suo assassinio

A dispetto di quanto ha scritto la Commissione Taormina nella sua relazione finale (Commissione che ha depistato e insabbiato il caso Alpi-Hrovatin costruendo prove false, avvalendosi come “collaboratore” del chiacchierato imprenditore di stanza in Somalia Giancarlo Marocchino), a dispetto di quanto sostiene l’Ambasciatore italiano in Somalia Cassini (colui che è stato indicato come “regista occulto” della costruzione di un falso testimone d’accusa – tale “Gelle” – contro il capro espiatorio Hashi Omar Hassan. Altro depistaggio che ha visto partecipe anche tale Hamad “Washington”, rappresentante della Comunità europea a Mogadiscio), a dispetto delle convinzioni del giornalista Giovanni Porzio vi sono diversi elementi che provano l’interesse di Ilaria Alpi per i traffici mondiali sporchi che confluivano in Somalia:

-Ilaria incontra il magistrato Felice Casson (impegnato in una indagine su Gladio) e gli chiede informazioni su un traffico di armi.

-Ilaria ottiene informazioni, in Somalia (dove lavora per 200 giorni tra l’autunno del 1992 e l’autunno del 1993), da Vincenzo Li Causi (maresciallo del Sismi-il servizio segreto militare italiano, coordinatore del centro Scorpione di Trapani / cellula di Gladio. Assassinato a nord di Mogadiscio in circostanze misteriose il 12 novembre 1993. Quando viene ucciso Li Causi era alla vigilia del suo ritorno in Italia e prossimo ad essere interrogato dai magistrati che si occupavano delle attività segrete ed illegali gestite da Gladio, gestite dal centro Scorpione di Trapani. Inclusi: il traffico di armi, il traffico di rifiuti tossici, la mala-Cooperazione Europa-Africa).

-in un suo block notes di lavoro (ritrovato perché conservato da Ilaria a Roma, negli studi di Saxa Rubra) Ilaria scrive “navi Shifco – pesca – Mugne – strada Garowe/Bosaso – 1400 miliardi della Cooperazione europea: dove è finita questa impressionante quantità di denaro?”

-su un foglietto che Ilaria ha in tasca quando viene uccisa ci sono segnate delle frequenze radio e dei numeri di telefono: uno di questi numeri appartiene ad una società straniera che opera nel settore delle armi.

-Ilaria aveva confidato a due amiche sue (Rita Del… che ha coabitato con Ilaria a Roma negli ultimi mesi e Faduma Mohamed Mamud figlia dell’ex sindaco di Mogadiscio) nonché al colonnello Franco Carlini (comandante dell’Ambasciata italiana a Mogadiscio fino al 10 marzo 1994) che stava seguendo una pista molto scottante: rifiuti tossici interrati in Somalia, sotto tratti stradali.

-dal 14 al 20 marzo 1994 Ilaria è in Somalia con il suo operatore Miran Hrovatin: si reca a Bosaso ed ha in programma di raggiungere Chisimaio il 21 marzo. Due tappe che assolutamente non facevano parte dei suoi spostamenti ufficiali per quanto riguardava gli accordi presi con la Rai prima della sua partenza (lei aveva comunicato all’azienda della tv di Stato di voler seguire il ritiro del contingente italiano da Mogadiscio e le prime reazioni della popolazione somala dopo questo ritiro militare). A Bosaso Ilaria intervista per due ore il fratello del locale Sultano: gli chiede delle navi peschereccio della flotta Shifco, gli chiede dell’Ingegner Mugne (armatore della Shifco – società internazionale che a sua volta si muove in collaborazione con una società italiana dal nome sconosciuto: lo dice il fratello del Sultano di Bosaso a Ilaria), vorrebbe salire a bordo di una nave peschereccio Shifco (la Faarax Omar) sequestrata pochi giorni prima e vicino Bosaso dai pirati somali (evidentemente pensa o sa che a bordo ci sono armi), pone domande (al fratello del Sultano) su traffici di armi e su traffici di rifiuti tossici. Lasciato il Sultano Ilaria e Miran, prima che qualcuno fa perdere loro il volo di ritorno Bosaso-Mogadiscio del 16 marzo, si spostano sulla strada Garowe-Bosaso, la percorrono per oltre 100 chilometri e la filmano (girano insistenti voci su rifiuti tossici interrati sotto il manto stradale della Garowe-Bosaso). Chisimaio, dove non arriveranno mai perché saranno uccisi il giorno prima, era sicuramente un’altra tappa fondamentale per la ricerca di informazioni su traffici sporchi destinati al Corno d’Africa.

Dopo l’assassinio di Ilaria e Miran accadono cose molto inquietanti per quanto riguarda i bagagli della giornalista Rai: i giornalisti Giovanni Porzio di “Panorama” e Gabriella Simoni di “Studio aperto” (presenti a Mogadiscio il 20 marzo 1994, ospiti del chiacchierato imprenditore italiano di stanza in Somalia Giancarlo Marocchino. Marocchino ha l’abitazione ed il magazzino a pochi metri dal punto in cui Ilaria e Miran sono stati uccisi: lui dirà di essere arrivato sul posto e di aver prestato i primi soccorsi 15/20 minuti dopo la sparatoria; un importante testimone somalo lì presente dichiara di averlo visto arrivare dopo 3-5 minuti. L’unica autorità che si presenta sul luogo dell’agguato è tale Gilao, Generale della Polizia somala. La Polizia somala aveva il comando a pochi metri dal luogo dell’agguato e non intervenne. Una testimone disse che due dei 7 assassini di Ilaria e Miran indossavano le divise della Polizia somala) vanno all’hotel Sahafi (zona sud di Mogadiscio, dove alloggiavano Ilaria e Miran) e, accompagnati da colleghi di una tv svizzera che filmano tutto, entrano nelle camere dei due giornalisti uccisi.

I bagagli di Miran sono nella sua stanza (la camera 203). I bagagli di Ilaria, invece, non sono nella sua stanza (camera 202) ma in un’altra stanza (camera 204) e sono sistemati con un innaturale disordine. Tutto viene preso, accuratamente sigillato e consegnato per il ritorno in Italia assieme ai corpi delle due vittime.

Al termine del viaggio di ritorno (Mogadiscio/Somalia – Luxor/Egitto – Roma /Italia) ci sono oggetti che qualcuno ha preso e ha fatto sparire.

-Ilaria aveva 5 block notes di lavoro: qualcuno ne fa sparire 3. Sono state strappate 3 pagine da uno dei due block notes arrivati a Roma.

-Miran aveva 20 videocassette: qualcuno ne fa sparire 6.

-l’intervista al fratello del Sultano di Bosaso è durata 2 ore: a Roma arriva un girato di appena 13 minuti. Per giunta, nel corso dei 13 minuti, ci sono dei tagli strani che non rendono uniforme il girato. Manca completamente tutta la parte in cui Ilaria pone al fratello del Sultano domande precise su traffici di armi e su traffici di rifiuti tossici.

-per un po’ di tempo sparisce dagli indumenti di Ilaria un foglio (sporco di sangue per via dell’agguato di Mogadiscio) sul quale la giornalista Rai aveva segnato delle frequenze radio ma soprattutto dei numeri di telefono, uno dei quali appartiene ad una società straniera che opera nel settore delle armi.

-dopo l’agguato Giancarlo Marocchino (colui che pochi giorni prima dell’assassinio di Ilaria e Miran fa mettere in giro la voce di un imminente tentativo di sequestro in danno di giornalisti italiani, invitando gli inviati italiani suoi ospiti a lasciare quanto prima Mogadiscio. Informazione, probabilmente fasulla, che comunque non viene comunicata ad Ilaria e Miran) recupera un block notes di Ilaria e un walkie talkie evidentemente in uso a lei e a Miran oppure in uso alla loro scorta: anche questo materiale sparisce. Scompare anche una macchina fotografica (consegnata sempre a Marocchino dopo l’agguato) trovata nella Toyota a bordo della quale c’erano Ilaria e Miran.

-sparisce la Toyota a bordo della quale Ilaria e Miran sono stati uccisi (fondamentale per la ricostruzione dell’azione degli assassini).

*Il giornalista della Rai Giuseppe Bonavolontà ammette in seguito di aver tolto lui i sigilli ai bagagli di Ilaria e di Miran, una volta giunti all’aeroporto di Ciampino/Roma. Ovviamente aggiunge di non sapere nulla del materiale che risulta mancare all’appello.

-Spariscono: il certificato di morte di Ilaria Alpi (steso sulla nave Garibaldi al porto di Mogadiscio), altri documenti redatti dall’ufficiale medico al porto di Mogadiscio, un prospetto che raffigura le parti del corpo (di Ilaria e Miran) raggiunte dai colpi d’arma da fuoco dei loro assassini.
*Non è tutto:

-Ilaria viene portata dal luogo dell’agguato al porto di Mogadiscio 45 minuti dopo la sparatoria (era gravemente ferita ma non ancora morta: forse poteva essere salvata).

-i corpi di Ilaria e Miran vengono spostati dalla Toyota sulla quale sono stati uccisi all’auto di Marocchino per raggiungere il porto di Mogadiscio: operazione inutile che ha fatto perdere tempo, dal momento che la Toyota sulla quale si trovavano Ilaria e Miran al momento dell’agguato era ancora perfettamente funzionante.

-ad Ilaria vengono tagliati i capelli dopo il decesso (una cosa grave perché ha ostacolato gli accertamenti scientifici finalizzati a stabilire se il colpo d’arma da fuoco che l’ha uccisa è stato sparato in lontananza o a bruciapelo. Tuttavia, seppur faticosamente, una consulenza riuscirà a stabilire che il colpo che l’ha uccisa è stato sparato quasi a bruciapelo in direzione del capo).

-ad Ilaria vengono lavate le mani dopo il decesso (altra cosa grave perché sono state cancellate tracce utili: la giornalista si è riparata la testa con le mani prima di essere raggiunta dal colpo che l’ha uccisa. Tant’è vero che aveva una ferita alle dita della mano sinistra. Erano rimaste danneggiate le falangi).

-non viene effettuata nessuna autopsia nell’immediatezza del fatto. Solo un esame esterno del corpo a Roma, dopo il funerale (ai genitori di Ilaria – Giorgio Alpi e Luciana Riccardi – avevano detto che il corpo della loro figlia era crivellato di colpi. Assolutamente falso).

*Sul luogo del delitto, in via Alto Giuba a Mogadiscio, la Polizia e le autorità competenti non effettuano alcun rilievo tecnico – non compiono alcuna indagine scientifica – non fotografano la Toyota coinvolta nell’azione degli assassini – non compiono una indagine scientifica interna ed esterna alla vettura – non interrogano i testimoni presenti (a cominciare dall’autista e dalla guardia del corpo di Ilaria e Miran) verbalizzando le loro dichiarazioni – non sequestrano le armi della scorta di Ilaria e Miran per verificare se è vero oppure no che la loro guardia del corpo aveva (come ebbe a dichiarare nell’immediatezza del fatto) aperto il fuoco contro gli assassini una volta scattato l’agguato.

Non viene accertato chi ha fatto perdere loro il volo Bosaso-Mogadiscio del 16 marzo 1994 (obbligandoli a rientrare nella Capitale della Somalia il 20 marzo): il sospetto cade su Giuseppe Cammisa, uomo di fiducia di Francesco Cardella e della comunità Saman (Lenzi, Trapani) a Bosaso. Cardella aveva degli affari in Somalia, a Bosaso, ed inviava lì Cammisa (suo uomo di fiducia). Affari che riguardavano progetti mai realizzati: probabilmente questi progetti servivano come copertura per attività irregolari o illegali collegate alla mala-Cooperazione Europa-Africa. Il Cammisa era a Bosaso quando si trovavano lì anche Ilaria e Miran. Rientrò d’urgenza dopo un messaggio in codice che lo avvisava di “Presenze anomale” in zona. Rientrò con il volo che persero Ilaria e Miran.

Non viene accertato chi ha viaggiato con Ilaria e Miran sul volo Bosaso-Mogadiscio del 20 marzo 1994.

Non viene accertato chi ha accompagnato Ilaria e Miran, il 20 marzo 1994, dall’aeroporto di Mogadiscio all’hotel Sahafi. La loro scorta no di certo: con una scusa era stata inviata all’ambasciata statunitense. Probabilmente furono accompagnati o da militari italiani oppure (molto probabile) da militari americani in quanto l’aeroporto di Mogadiscio era sotto il controllo militare dell’esercito statunitense e nessuno poteva uscire dallo stesso senza passare per le verifiche ed i controlli (scrupolosi) dei militari.

Non viene accertata la ragione per la quale Ilaria, contrariamente a quanto aveva scritto lei stessa in una delle sue agende, lascia l’hotel Sahafi (nella zona sud di Mogadiscio) per recarsi nella pericolosa zona nord di Mogadiscio, all’hotel Amana (dove lei e Miran saranno uccisi). Non di certo per andare da Remigio Benni dell’Ansa: lui era partito per Nairobi e questo era stato comunicato ad Ilaria, prima di lasciare l’hotel Sahafi, da un giornalista somalo (a meno che quest’ultimo ha mentito quando ha fornito questa versione dei fatti).

Forse ci sono due spiegazioni: Ilaria – avendo bisogno di un collegamento satellitare per inviare al Tg3-Rai il suo servizio importante annunciato per la sera stessa – era andata all’hotel Amana credendo di poter disporre, lì, di questo sistema?

Dopo essere uscita dall’hotel Amana (vi era rimasta solo pochi minuti) Ilaria doveva entrare nella vicina Ambasciata italiana perché le avevano detto che lì avrebbero trovato – lei e Miran – i loro bagagli dopo il viaggio da Bosaso? (al momento dell’agguato Ilaria e Miran non avevano nulla con loro, cioè nei loro abiti. Miran era sprovvisto persino della telecamera, cosa assolutamente inspiegabile per uno come lui che la portava con se ovunque. I bagagli di Ilaria furono trovati dopo l’agguato, con innaturale disordine, nella camera 204 dell’hotel Sahafi: lei occupava la stanza numero 202). Ilaria era sprovvista persino del passaporto quando fu assassinata: il suo passaporto fu trovato nella stanza 204 dell’hotel Sahafi dopo l’omicidio.

I 7 killer che li uccisero (tra i quali vi erano un somalo che aveva lavorato per la Cia e due poliziotti somali) li stavano attendendo (a bordo di una Land Rover blu targata “Emirati arabi”) davanti all’hotel Amana sin da quando Ilaria e Miran erano scesi dal volo Bosaso-Mogadiscio (due ore prima).

Il punto dell’agguato si trovava, in via Alto Giuba, tra l’hotel Amana (dove alloggiavano dei giornalisti, anche italiani) – un edificio adoperato dal Sismi (il servizio segreto militare italiano) – l’abitazione ed il deposito di Giancarlo Marocchino (in casa sua Marocchino ospitava spesso dei giornalisti, anche italiani) – la sede dell’Ansa – il comando della Polizia somala – l’Ambasciata italiana.

A cura di Daniele Spisso

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