La Rsa Alda Merini è una struttura socio sanitaria a lunga degenza che ospita pazienti adulti/anziani che necessitato di supporto sociosanitario.
L’esperienza del nucleo di operatori ed animatori sociali che lavorano presso la struttura inizia nel2012. Purtroppo la Asl Napoli1 Centro ha deciso di eliminare tali figure.
Questo destino va a toccare sia i pazienti che perderanno punti di riferimento importanti, sia gli operatori, alcuni dei quali svolgono il servizio da oltre 20 anni. La problematica coinvolge ben 4 RSA: RSA Ada Merini di Scampia, RSA Frullone, RSA Bartolo Longo di Ponticelli, RSA Geremicca di Posillipo e comprende anche altre strutture quali SIR, Strutture Intermedie Residenziali della salute mentale, e RSA-H, strutture residenziali che accolgono soggetti adulti che necessitano di assistenza medico/infermieristica continuativa e riabilitativa.
Sostiene il Presidente della Municipalità 8, Avv. Nicola Nardella:
“ritengo che la collocazione a riposo delle animatrici sociali e degli operatori, ed ancor più la dismissione della loro funzione, sia una scelta errata. La perdita di tali figure impoverisce il territorio. Di sicuro l’assunzione di personale medico da parte della Asl è un fatto positivo, ma ritengo bisogna intanto non perdere tutto il know how che gli operatori sociali hanno accumulato nel corso degli anni. In seconda istanza, oggi è necessario ragionare in un’ottica di servizio integrato e quindi, alla prestazione prettamente medica, deve essere associato il contributo di cura relazionale che gli animatori e gli operatori hanno posto in essere ad oggi, in maniera virtuosa. La natura del servizio è complessa e quindi non bisogna in alcun modo impoverirlo. A questo si aggiunge il disastro che provocherebbe la perdita del posto di lavoro per ben 1300 persone”.
Sostengono Sara e Maria, animatrici sociali:
“Molti dei nostri ospiti, sono ex pazienti manicomiali, molti hanno vissuto solo in realtà istituzionalizzate, senza avere punti di riferimento familiari e costruire relazioni d’aiuto, ispirate alla fiducia, è stato molto complesso. Alcuni nostri colleghi parteciparono al “progetto Ulisse”, progetto che andava a completare la legge Basaglia quindi la chiusura dei manicomi. Il progetto consisteva nell’accompagnamento in questo momento delicato di passaggio per i pazienti dal manicomio, nello specifico il “Leonardo Bianchi” alle RSA o SIR dove attualmente dimorano.
Quando abbiamo iniziato a lavorare in questa struttura socio-sanitaria i pazienti non socializzavano, neanche si conoscevano pur condividendo lo stesso spazio. La loro vita era scandita da ritmi strettamente ospedalieri che si alternavano tra terapie e momento dei pasti. Quando siamo arrivate abbiamo capito fin da subito che il nostro lavoro non era semplicemente quello di animatori sociali. Era necessario attivare il valore terapeutico della socializzazione. Abbiamo negli anni creato relazioni tra pazienti e territorio, abbiamo sostenuto famiglie, abbiamo lavorato in squadre multidisciplinari per favorire il recupero e il mantenimento delle capacità residue dei pazienti. Siamo diventati in alcuni casi la famiglia di chi era completamente solo. Ci siamo domandate cosa fare per dare qualità alla loro vita trascorsa in una struttura. Ci siamo concentrate sulle relazioni, sul coltivare passioni, imparare nuove cose, prendersi cura di sè stessi. Per questo abbiamo attivato per i nostri utenti laboratori di cucina, di cura della persona, giardinaggio, lettura del giornale, abbiamo scritto e realizzato progetti come quello della peth education, cineforum, proposto progetti a scuole primarie per favorire il valore educativo dell’intergenerazionalità abbiamo collaborato con associazioni di volontariato laiche e non. Con il nostro lavoro quotidiano abbiamo strutturato un servizio siamo stati capaci di inventare strumenti, e risposte dove erano manchevoli, dove nessuno sapeva di preciso cosa e come fare.
Abbiamo condiviso con loro ogni momento della giornata dalle 8.30 del mattino accogliendoli con il caffè, simbolo della nostra cultura e tradizione, un caffè preso tutto insieme, fino alla buonanotte momento di fine turno pomeridiano. Abbiamo riso e condiviso. Abbiamo accolto le loro ansie e contenuto le loro paure. Non ci siamo tirati indietro davanti al periodo più buio, quello della pandemia di COVID-19, siamo sempre stati lì insieme a loro, facendo anche da tramite tra i familiari che chiedevano notizie. In quel periodo abbiamo intensificato le videochiamate proprio per azzerare la distanza di quel periodo. E quando è stato necessario poi li abbiamo accompagnati fino al loro ultimo respiro tenendoli per mano. Dal primo gennaio tutto questo non ci sarà più. Creando una interruzione di relazioni che si erano instaurate tra noi e gli utenti, sottraendo loro dei punti di riferimento costruiti nel tempo”.
