Ciro Sciallo, la voce scugnizza di Capodichino che ha incantato a The Voice Senior

Una carriera musicale che affonda le sue radici a Napoli, più precisamente nel quartiere di Capodichino e che ha raggiunto obiettivi importanti in Italia e in Europa, tra incontri con personalità artistiche di spicco (Sergio Endrigo, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Toquinho tra i primi), ricerca di brani dimenticati e desiderio di voler raccontare una Napoli lontana dagli stereotipi: il cantautore Ciro Sciallo si è fatto notare anche dal pubblico televisivo nell’ultima edizione di “The Voice Senior”, arrivando alle Semifinali con il coach Clementino e regalando agli spettatori prima una versione intima e delicata di “Quanno chiove” e poi un’interpretazione inedita del brano “Luna Rossa”. Quella di Ciro Sciallo è una storia musicale che, non solo l’affetto del pubblico, ma che anche il Consiglio Regionale della Campania ha deciso di premiare mercoledì 10 aprile con un riconoscimento per il lustro che la sua musica dà alla Campania e in particolare alla città di Napoli in Italia e nei centri di cultura europei. Abbiamo avuto l’occasione di parlare con Sciallo delle emozioni provate sul palco di “The Voice”, del suo amore per la musica napoletana e dell’indissolubile legame con la sua città: radicato nel passato, ma con uno sguardo attento verso il futuro.

Partiamo dalla sua esperienza a The Voice Senior. Quali sono state le emozioni che ha provato salendo su quel palco e cosa ha significato per lei questa esperienza?

«L’emozione è stata grande e forte: io sono arrivato lì con l’idea di voler portare sul palco una Napoli un po’ assente da tempo in tv, non l’immagine della Napoli folkloristica e oleografica che tanto spopola, ma volevo raccontare la tradizione e i costumi in maniera autentica. Io percorro da tempo questa strada con la mia musica, cercando di creare un anello di congiunzione tra passato e futuro, uscendo dagli stereotipi. Lì a “The Voice” ho portato Napoli attraverso le parole di Pino Daniele ed è stata una grande responsabilità: io sono salito sul palco e ho fatto cantare il mio cuore più che la mia voce e visti i risultati posso dire di esserci riuscito».

Anche a The Voice ha quindi portato sul palco le sue origini napoletane. Qual è il legame con la sua città e con il suo quartiere? Come si riflette nella sua musica?

«Io sono nato in un quartiere popolare, quello di Capodichino, e in queste zone quando ero ragazzo c’è stato un grande fermento musicale: si percepiva l’eco dei Beatles, quello di “Napoli Centrale” quando ho cominciato a suonare un po’ la chitarra e anche l’influenza de “The Showmen” che hanno aperto le porte al neapolitan power. Questo fermento io l’ho vissuto e con un gruppo di amici, proprio qui a Capodichino, abbiamo cominciato a suonare insieme in una stanza che chiamavamo “il Barraccone”: era un posto di damigiane dismesse, biciclette abbandonate e altri oggetti vecchi, ma per noi quelle quattro mura sono state il nostro rifugio e ad oggi, tra i componenti di quella band, contiamo un dirigente d’azienda, un medico, un ingegnere mentre io ho continuato a coltivare l’amore per la musica, tra note e parole. La sinergia con la mia città è stata fondamentale perché in ogni modo ho cercato di portarla nelle canzoni: molti anni fa incontrai dei musicisti brasiliani appassionati di musica napoletana mentre io ne ero ancora distante e da quel momento capii che era necessario smuovere qualcosa in quel mondo; la passione per la musica napoletana apparteneva anche a Sergio Endrigo che personalmente mi incentivò a proseguire in questo senso, ovvero proiettando la musica napoletana in una veste estetica diversa, non legandola quindi al solito folklore e al commerciale, ma creando dei miei arrangiamenti, sperimentando e contaminando continuamente. Ad oggi posso dire di essere fiero di aver proseguito questa strada, avendo avuto anche il privilegio di rappresentare Napoli nelle Università e nei centri di cultura. Napoli è una grande espressione culturale, artistica, archeologica che va preservata al di sopra del commercio e del business».

La sua passione per la musica però è radicata da tempo. Come nasce e come l’ha coltivata in questi anni?

«Non so come sia nata in me la passione per la musica, ma direi quasi che è innata: mia mamma mi diceva sempre che, in culla, per addormentarmi avevo bisogno di avere con me una piccola radiolina per tranquillizzarmi. La musica poi alla mia generazione è stata di grande aiuto, in ogni casa c’era uno strumento musicale e spesso si formavano dei piccoli complessi che provavano ad imitare le hit e le band del momento: io ho cominciato proprio così, poi ho sentito in me l’istinto e l’esigenza di comporre e sono diventato un cantautore. Questa mia passione mi ha portato poi a ripescare brani napoletani del passato perché i brani classici ripercorrono il costume della nostra città, come “Tammurriata Nera”, ma ho cercato di dare nuova vita a brani meno noti e inflazionati e in questo scrigno ho trovato canzoni che sono gemme preziose e desuete. Così sono nati degli album che mi hanno dato grandi soddisfazioni e, proprio quest’anno, verranno prodotti i vinili di “Acqua ‘E Mare”, “Tra i vicoli dell’anima” e “Un passo da ieri”, album che mi hanno permesso di viaggiare anche in Europa per rappresentare Napoli tra ambasciate e Università».

Dopo l’esperienza a The Voice qualcosa è cambiato?

«Sicuramente, dopo “The Voice”, è cambiata la popolarità: un po’ per caso, un po’ perché ci ho messo tutta la mia grinta, in pochi minuti ho cercato di scalare questa “montagna” e posso dire che mi è stato riconosciuto lo sforzo dall’affetto del pubblico. Ho provato sempre a personalizzare i brani, sia alle blind con “Quanno chiove” sia alle semifinali con “Luna Rossa”: soprattutto con “Luna Rossa” temevo di poter fare poco, ma ho creato un arrangiamento che potesse far risaltare la drammaticità del testo e ci ho messo tutta la mia voglia di arrivare alla gente. Infatti, dopo l’eliminazione, ho ricevuto tantissimi messaggi d’affetto sui social, commenti, quotidiani e riviste che si sono schierate a mio favore e si sono dispiaciuti della mia uscita dal programma, ma io ho accettato le scelte fatte dal mio coach Clementino ed è giusto riconoscere che possa avere dei gusti musicali diversi. Anche oggi, a conclusione del programma, posso dire che “The Voice” continua a dare i suoi frutti come questo premio che ho ricevuto dalla Regione Campania anche per aver portato in televisione una bella immagine di Napoli e non c’è cosa più gratificante».

Ha progetti futuri in campo musicale?

«Sto registrando un nuovo album in cui saranno inserite anche “Quanno chiove” e “Luna Rossa” e sarà un mix della mia anima “scugnizza” napoletana che ricerca i brani classici più sconosciuti e sia della mia anima cantautoriale. Vedremo cosa ne uscirà».

Concludiamo con uno sguardo al futuro musicale. Cosa vorrebbe dire ai giovani emergenti e soprattutto ai giovani cantanti napoletani che provano a raggiungere il successo?

«Questo è un momento molto difficile per chi prova a fare musica realmente: guardando alcuni giudizi non tecnici, non oggettivi, che vengono espressi in tv si può essere molto scoraggiati. Non si può giocare con l’arte, non si può sottovalutare il fare musica. Va premiato chi fa bene, chi ha una preparazione e chi cerca di lanciare dei messaggi, per la pura emozione fine a sé stessa non si fa musica, ma altro. I giovani devono essere fiduciosi, bisogna essere obiettivi, sinceri e a chi si sta affacciando a questo mondo ribadisco che l’arte, il teatro, la musica, il cinema sono cose serie, solo prendendole in questo modo si può fare bene e andare avanti».

Sara Finamore

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