Il giallo di Posillipo 44 anni dopo. Gli affari di Anna Parlato Grimaldi e quelli dell’avvocato Paolo Diamante: il residence Fontenata, la tentata scalata al quotidiano Roma, centinaia di milioni di Lire trasferiti alla baronessa a titolo fiduciario, CIM. Se m’……… (Terza parte)

“Fontenata”: è il nome di un lussuoso residence, composto da un centinaio di appartamenti e che si trova in località Pescocostanzo (provincia di L’Aquila, Abruzzo), messo in piedi da una società immobiliare, con sede in via Manzoni a Napoli, il cui intestatario era la baronessa ed imprenditrice Anna Parlato Grimaldi.

La mattina del 29 marzo 1981 (è una Domenica. Due giorni prima del delitto di Posillipo) Anna Grimaldi vuole confidarsi con sua figlia Elvira, dicendole che c’è un fatto grave del quale vuole parlarle (la sera successiva, il 30 marzo, le comunica di aver fatto un brutto sogno durante la notte precedente e di volerla investire di pesanti responsabilità patrimoniali familiari, facendole giurare di assumersi questo impegno imminente).

Sempre la mattina del 29 marzo Anna disdice un appuntamento con il suo ultimo amante, il capo cronista del Mattino di Napoli Ciro Paglia (colui che l’ha aiutata ad entrare nella redazione del Mattino di Napoli come collaboratrice e che la sta aiutando ad entrare nella redazione dello stesso quotidiano sita a Castellamare di Stabia/città d’origine della nobildonna), e si reca nella sua società immobiliare in via Manzoni. Ha un appuntamento alle ore 9:30: non si è mai saputo con chi. Nel posacenere di quell’ufficio verranno trovati successivamente due mozziconi di sigaretta Muratti e verrà trovato un Toscanello in un porta-ombrelli (la baronessa non fumava, Ciro Paglia adoperava le Multifilter). Su un tavolo dell’ufficio furono trovati una foto a colori che ritraeva tre persone su un motoscafo e i frammenti di un assegno bancario (di 1 o 2 milioni di Lire) intestato ad uno dei figli della Grimaldi, Giovanni.

Nella sua agenda, proprio sotto la data di quel 29 marzo, Anna Grimaldi scrive: “CIM. Se m’………”. Lascia di proposito nove puntini sospensivi: la seconda frase sta quasi certamente per “Se m’ammazzano”.

Nel gennaio del 1986 arriva una lettera anonima al sostituto Procuratore di Napoli Franco Roberti e al Giudice istruttore presso il Tribunale del capoluogo campano Paolo Mancuso. Il messaggio viene consegnato da qualcuno alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presieduta da Corrado Severino) che sta processando per il delitto Grimaldi la giornalista del Mattino di Salerno Elena Massa (ex moglie di Ciro Paglia. Assolta con formula piena in primo grado, assolta con formula dubitativa in secondo grado e in Cassazione).

Nella missiva un anonimo, che si firma con il nome di un Sindaco di Napoli d’inizio ‘900 (Ferdinando Del Carretto di Novello: politico-militare-marchese) e che afferma di temere per la sua vita (essendo a conoscenza da tanti anni di molti affari sporchi riguardanti l’impero di Achille Lauro), dichiara di essere stato un pezzo grosso della Flotta Lauro. Accusa il facoltoso avvocato sessantenne Paolo Diamante di essere il responsabile dell’omicidio di Anna Parlato Grimaldi.

Paolo Diamante (residente in via Francesco Petrarca a Napoli, a pochi metri dalla villa della famiglia Grimaldi. Possessore di una pistola lanciarazzi ed ex possessore di una pistola Browning Baby calibro 6,35/la stessa del delitto di Posillipo. Ammette con qualche mese di ritardo di aver ereditato dalla sua famiglia una pistola calibro 6,35 aggiungendo di averla persa e di non ricordare bene né dove né come l’ha smarrita) è l’amministratore della Flotta Lauro, è amico da diversi anni di Anna Grimaldi (l’ha aiutata a diventare giornalista pubblicista nell’estate del 1979, facendole ottenere un contratto di collaborazione con il quotidiano Roma), siede nel Consiglio di amministrazione del quotidiano Roma, è il legale di famiglia del potente Achille Lauro (politico-costruttore-ex sindaco di Napoli-ex presidente della società sportiva calcio Napoli-armatore della Flotta Lauro-editore del quotidiano Roma, zio del marito di Anna Grimaldi ovvero dell’armatore Ugo Grimaldi-quest’ultimo è anche membro del Consiglio di amministrazione del Banco di Napoli grazie all’interessamento dei politici Dc Flaminio Piccoli e Antonio Gava), ha gestito una serie di operazioni finanziarie e per qualcuna di queste ha chiesto ad Anna Grimaldi di fargli da copertura a titolo fiduciario (trasferendole complessivamente 852 milioni di Lire). Il 20 marzo 1981, 11 giorni prima del delitto, ha regalato ad Anna due costosi orecchini di Cartier (acquistati presso la gioielleria napoletana Rocca, in via dei Mille. Non era la prima volta che la omaggiava di un regalo pregevole. C’era stato un precedente con un portachiavi di Cartier. Una volta fu lei a regalare al Diamante una penna a biro di Cartier): orecchini che la baronessa portava indosso quando fu assassinata e che non furono rubati dopo il delitto.

Per la sera dell’omicidio Paolo Diamante fornisce un alibi agli inquirenti: ha lasciato il suo ufficio in via Marina alle 20:30. Si è subito recato in casa della sua compagna Rita Saracino (in via Ferrandina a Chiaia) restandovi fino alle 22:00 circa. Poi è rincasato in via Petrarca. La Saracino conferma la sua versione pur con una discrepanza di un quarto d’ora rispetto alla versione del Diamante.

Secondo l’autore della lettera anonima l’avvocato Diamante ha ucciso Anna Grimaldi perché la nobildonna non gli ha restituito una grossa somma di denaro che lui aveva sottratto alle casse della Flotta Lauro. Soldi che lei ha impiegato proprio per costruire il residence di lusso “Fontenata” (852 milioni di Lire che l’avvocato Diamante si fece liquidare dalla società Lauro il 21 febbraio 1979 convertendoli in titoli Tirrenia e Sme. Girati ad Anna Grimaldi e da lei depositati presso il Banco di Roma. Tra giugno e luglio del 1980 il Diamante, per sua stessa ammissione, le trasferì inoltre alcuni titoli azionari, oggetti di valore personali che la nobildonna conservò in una cassetta di sicurezza, 200 milioni di Lire in contanti allo scopo di liberalizzare il patrimonio e non farlo apparire intestato a lui. La baronessa accese un conto presso la Banca di Calabria).

Qualche anno dopo il delitto di Posillipo si apre un processo che porta sul banco degli accusati gli eredi della famiglia Lauro (i figli, un nipote), lo stesso avvocato Diamante e alcuni fedeli collaboratori del “Comandante” per un gigantesco crack finanziario: 300 miliardi di Lire sottratti alle casse della società, tra il 1974 ed il 1982, per favorire numerosi interessi privati. Bancarotta fraudolenta e Falso in bilancio (gli imputati hanno causato l’insolvenza di 17 società del gruppo Lauro con operazioni dolose).

Anche Ugo Grimaldi, il marito della vittima, testimonia nel corso delle indagini che la moglie gli ha confidato (nel dicembre del 1980) di essere stata pressata dall’avvocato Paolo Diamante per la restituzione di una consistente somma di denaro del valore complessivo di 1 miliardo di Lire. Richiesta che, il 9 aprile del 1981, viene rinnovata ed inoltrata da Paolo Diamante allo stesso Ugo Grimaldi, nel frattempo rimasto vedovo (la baronessa viene uccisa la sera del 31 marzo tra le 20:35 e le 20:45 nel cortile della sua villa, in via Francesco Petrarca 135 a Napoli).

Nel dicembre del 2024, con una intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno, Elvira Grimaldi (la figlia di Anna) conferma quanto è stato ricostruito sul punto dagli inquirenti 44 anni prima e dunque conferma ciò che suo padre Ugo ha dichiarato nel 1981 alla magistratura ma afferma che il denaro oggetto delle continue richieste di restituzione da parte dell’avvocato Diamante riguardava invece la tentata scalata editoriale al quotidiano Roma (aggiunge di averlo saputo proprio dal padre Ugo e che quest’ultimo era al corrente di tutto).

Tra luglio ed agosto del 1980, infatti, Anna Parlato Grimaldi si era trovata coinvolta in un progetto editoriale che prevedeva la costituzione di una “cordata” di uomini d’affari per impossessarsi del quotidiano Roma. Lei era stata posta sostanzialmente a capo di questo gruppo ma il vero regista di tutta l’operazione era stato proprio l’avvocato Paolo Diamante. Evidentemente interessato a “scippare” la testata al suo potente cliente Achille Lauro.

Nel progetto erano coinvolti alcuni pezzi grossi di allòra della Dc (Vincenzo Scotti, Paolo Cirino Pomicino), il segretario di Vincenzo Scotti (Maurizio Prandelli), l’avvocato Nino Gargiulo, l’imprenditore alberghiero sorrentino Mariano Russo, un industriale del settore del cuoio che sedeva nel Consiglio di amministrazione della società sportiva calcio Napoli, l’ingegner Corrado Ferlaino (a sua volta imprenditore e da poco nominato presidente della società sportiva calcio Napoli per volere del precedente patròn Achille Lauro detto “O’ Comandante”).

Operazione che alla fine non è andata in porto e che ha trovato la contrarietà di Ciro Paglia: il capo cronista del Mattino di Napoli ha tentato di dissuadere Anna Grimaldi perché l’ha ritenuta una faccenda sporca (probabilmente anche pericolosa). Proprio a Ciro Paglia, un giorno, Anna Grimaldi ha confidato “Quel pazzo dell’avvocato Paolo Diamante si è procurato una pistola”.

Nella scalata editoriale al quotidiano Roma doveva essere coinvolto anche l’esponente politico nazionale della Dc Antonio Gava (conterraneo di Anna Grimaldi e tra le conoscenze politiche più importanti delle quali godeva la famiglia Parlato Grimaldi).

L’ostacolo maggiore fu rappresentato dalla presenza dell’imprenditore Silvio Berlusconi quale concorrente della loro “cordata”: anche lui voleva mettere le mani sulla famosa testata napoletana nello stesso momento, con la copertura della loggia massonica deviata P2 (alla quale era iscritto) e dello stesso Licio Gelli (fascista diventato massone, capo della P2). Tra gli obiettivi di Gelli vi era, difatti, il controllo dei mezzi d’informazione in Italia: stampa, mass media.

Anna Parlato Grimaldi era stata informata dell’interesse di Berlusconi per il Roma, anche perché Antonio Gava era in rapporti con l’imprenditore milanese nello stesso periodo.

(Continua…)

Daniele Spisso

Lascia un commento