La prima pista “camorrista” sul delitto di Anna Parlato Grimaldi salta fuori ben prima dell’ottobre 1997 ma non porta alla luce collegamenti con il sequestro del giovane Gianluca Grimaldi (il nipote della nobildonna napoletana, rapito dal clan camorrista Mallardo di Giugliano nel dicembre del 1980. Rilasciato nell’agosto del 1981 dopo il pagamento di un riscatto di quasi 2 miliardi di Lire).
A farla materializzare, a fine gennaio del 1982 (dieci mesi dopo l’omicidio di Posillipo), è un confidente delle forze dell’ordine. Costui prende contatto con il Dott. Franco Malvano (in quel momento dirigente della sezione anti-racket della Questura centrale di Napoli. Successivamente dirigente della squadra Mobile del capoluogo campano in sostituzione del Dott. Antonio Ammaturo, assassinato il 15 luglio 1982 dalla colonna napoletana delle Brigate rosse, su mandato della nuova Camorra organizzata, per aver scoperto i nomi dei politici che avevano partecipato alla trattativa Dc-nCo-Br-servizi segreti collegata al sequestro Ciro Cirillo) e gli comunica che il responsabile del misterioso crimine è, in qualità di mandante, Ugo Grimaldi (il marito della baronessa Anna. Colui che le dedicherà una toccante lettera dopo l’omicidio).
Ugo Grimaldi (nipote di Achille Lauro: armatore della Flotta Lauro-ex sindaco di Napoli-editore del quotidiano Roma-ex presidente della società sportiva calcio Napoli-parlamentare prima e senatore poi-produttore cinematografico-fondatore di Canale21 in Campania-progettista del Rione Lauro nel quartiere napoletano di Fuorigrotta) è un uomo importante. Siede nel Consiglio di amministrazione del Banco di Napoli (per interessamento dei politici Dc Antonio Gava e Flaminio Piccoli), segue i suoi affari nel settore imprese-commercio, è il marito di Anna Parlato dal 1955 ed è il padre di quattro figli avuti dalla baronessa (Giovanni, Elvira, Giuseppe, Angela). Negli ultimi tempi la coppia ha vissuto da separata in casa e senza più rapporti intimi nella splendida villa di famiglia in via Francesco Petrarca 135 a Napoli. Lei lo ha tradito più di una volta. Il marito ha negato (nel processo sull’assassinio della consorte) d’essere stato a conoscenza delle relazioni extraconiugali della moglie.
Gli amanti noti (un giovanotto, tale Francesco Palmesano, era risultato suo abituale accompagnatore quando lei era stata presidente dell’ippodromo di Agnano tra il 1975 ed il 1976) sono stati sicuramente i giornalisti del Mattino di Napoli Francesco Bufi – da gennaio 1979 a gennaio 1980 – e Ciro Paglia – da novembre 1980. La relazione con il Bufi è stata tormentata e possessiva poiché Anna Parlato Grimaldi gli aveva chiesto di lasciare la famiglia per vivere con lei. Questa situazione aveva scatenato l’ira della moglie del Dott. Bufi, Mafalda Ricci: autrice di lettere ingiuriose, telefonate ingiuriose, minacce indirizzate alla baronessa. Episodi che furono negati dall’interessata ma confermati da uno dei figli di Anna Parlato Grimaldi, Giuseppe (fu quest’ultimo a raccogliere in casa una delle suddette telefonate). Nel gennaio 1980 le due donne si incontrarono di persona, sotto l’abitazione di Mafalda Ricci: Anna le comunicò che la sua storia clandestina con il Dott. Bufi era terminata.
Francesco Bufi è risultato possessore di una pistola di marca Astra 6,35 (lo stesso calibro dell’arma da fuoco che ha ucciso Anna Parlato Grimaldi): per la sera del delitto ha un alibi. E’ nella redazione del Mattino di Napoli, fino alle ore 22. Anche Mafalda Ricci ha un alibi quando avviene l’omicidio. Dichiara a verbale di aver preso il figlio da scuola alle ore 18 e di essere rincasata senza muoversi più dalla propria abitazione per il resto della serata.
Luigi Puja, il geometra dipendente della Snicer-costruzioni edili che la sera del delitto si reca a villa Grimaldi verso le ore 20:45 (a delitto già compiuto) per consegnare un plico scoprendo l’orrendo crimine assieme alla domestica tunisina dei Grimaldi (Jamina Neyri), afferma che poco dopo il soccorso della vittima in ospedale gli si avvicina una donna per chiedergli cosa è accaduto. La descrive sui 35/40 anni, alta 1 metro e 65, di corporatura regolare, con capelli castano chiaro di media lunghezza, con occhiali da vista al viso. Successivamente al Puja viene mostrata Elena Massa, la giornalista del Mattino di Salerno accusata del delitto e processata per lo stesso (assolta dal Tribunale): il testimone non la riconosce come la donna con la quale ha parlato la sera del 31 marzo 1981.
Secondo il confidente, Ugo Grimaldi avrebbe incaricato del crimine un clan della Camorra di Giugliano che controlla l’ippodromo di Agnano (lo stesso ippodromo che è stato presieduto proprio da Anna Parlato Grimaldi dal 1975 al 1976). Dunque o la famiglia camorrista dei Mallardo (la stessa che ha tenuto prigioniero Gianluca Grimaldi dal dicembre 1980 all’agosto 1981) o la famiglia camorrista dei Maisto.
I Mallardo o i Maisto avrebbero poi delegato questo compito al clan Giuliano di Forcella (vicino ai Mallardo ed interno – come i Mallardo – al cartello criminale della Nuova Famiglia). I Giuliano si sarebbero rivolti infine a tale Gennaro Licciardi detto Gennaro a’ scigna (ovvero Gennaro la scimmia), un sicario dell’organizzazione camorrista affiliato al gruppo mafioso dei Licciardi di Secondigliano (quartiere della periferia nord di Napoli), anch’esso parte della Nuova Famiglia.
Il killer avrebbe raggiunto via Petrarca 135 la sera del 31 marzo 1981 con una vettura “A112” freddando la vittima con tre colpi d’arma da fuoco. Sempre secondo il confidente, Licciardi fu catturato pochi mesi dopo l’omicidio con indosso l’arma adoperata per commettere l’assassinio: una pistola calibro 6,35. L’informatore aggiunge che, in caso di indagini imperniate su questa pista, è disponibile a fornire ulteriori dettagli a chi di dovere.
Il Dott. Franco Malvano giudica seria e attendibile la fonte e per questo motivo avvisa immediatamente i due magistrati che in quel periodo si stanno occupando dell’inchiesta sul delitto della baronessa: Arcibaldo Miller e Felice Di Persia. Entrambi, però, escludono la responsabilità della malavita organizzata e continuano a battere la pista passionale: quella che porterà sotto processo – dal novembre 1984 al maggio 1988 – la giornalista del Mattino di Salerno Elena Massa (ex moglie dell’ultimo amante di Anna Parlato Grimaldi: il capo-cronista del Mattino di Napoli Ciro Paglia). Elena Massa sarà assolta con formula piena in Corte d’Assise, sarà assolta con formula dubitativa in Corte d’Appello e in Corte di Cassazione.
A quel punto il confidente smette di farsi vivo e le sue dichiarazioni finiscono nel dimenticatoio.
Sicuramente ci sono degli aspetti che non tornano nel suo racconto e che pongono dubbi sulla attendibilità delle affermazioni rese da costui al Dott. Malvano:
-Immaginando un movente passionale: Ugo Grimaldi si sarebbe rivolto alla Camorra per consumare una vendetta privata collegata ad una faccenda di natura passionale tra lui e la moglie?
-La Camorra avrebbe accettato di fare da mandatario per un delitto legato a questioni di gelosia o comunque legato a vicende private tra due coniugi?
-E’ vero che Gennaro Licciardi è stato catturato pochi mesi dopo il delitto (precisamente dopo un inseguimento sulla Tangenziale di Napoli, nel settembre del 1981) ma non fu trovato in possesso di una pistola calibro 6,35 (lo accertò di persona il Dott. Malvano acquisendo e leggendo il verbale della cattura di Gennaro Licciardi).
-L’informatore sostiene che Gennaro Licciardi giunse a villa Grimaldi a bordo di una vettura “A112” : due testimoni (gli studenti 22enni Andrea Ballabio e Bruno Ferdinando) presenti da punti separati a poca distanza da villa Grimaldi non videro – quella tragica sera e al momento dell’omicidio – auto allontanarsi da via Petrarca 135 o persone scappare all’esterno della proprietà (gli spari furono uditi nitidamente da entrambi i testi).
-Per depistare le indagini la Camorra avrebbe armato un suo sicario con una pistola Browning Baby calibro 6,35? Certamente non è un’arma utilizzata dai killer della criminalità organizzata per compiere agguati. E’ una “pistoletta”: una piccola arma da fuoco, popolarmente definita “da borsetta”.
Gli accertamenti compiuti dagli inquirenti hanno permesso di appurare che nella sola città di Napoli risultavano esserci, legalmente possedute, 316 Browning Baby calibro 6,35. Le indagini hanno consentito di stabilire che un’arma di questo tipo era stata in possesso della Dott.ssa Elena Massa fino all’ottobre del 1980 (quando la cronista del Mattino di Salerno la smarrì oppure ne fu privata tramite un furto. Presentò subito una regolare denuncia in Questura) e che un’arma dello stesso calibro era appartenuta all’avvocato Paolo Diamante (in primo momento costui negò di averne avuta una, ereditata dalla sua famiglia. Dopo qualche mese ammise tale possesso aggiungendo però di averla persa prima del delitto, non ricordando esattamente dove e in quali circostanze. Forse abbandonata nel suo studio legale, in via Riviera di Chiaia 215 a Napoli).
Al momento dell’omicidio Ugo Grimaldi non si trova in città. E’ a Roma per impegni di lavoro in Confitarma (la Confederazione italiana degli armatori). Viene raggiunto in un residence della Capitale verso la mezzanotte del 1° aprile (1981), mentre è nel letto a dormire, da uno dei suoi figli (Giovanni) e dal fidanzato di sua figlia Elvira, Fabrizio Di Luggo (giunti dal capoluogo partenopeo). Interrogato pochi giorni dopo dal maresciallo della Polizia di Stato Tazza, l’armatore dichiara a verbale di essersi preparato senza esitazione (dopo aver ottenuto dalla figlia secondogenita Elvira, per telefono, la conferma di quanto suo figlio Giovanni gli ha comunicato in albergo) e di essere tornato a Napoli con il figlio Giovanni e con il Di Luggo, in auto. Fabrizio Di Luggo, invece, afferma a verbale che Ugo Grimaldi non intendeva muoversi da Roma quella sera, malgrado il grave fatto di sangue del quale era stato portato a conoscenza, e che soltanto alla vista di lui (ovvero del Di Luggo, salito di proposito in camera) decise (non troppo convinto) di rientrare a Napoli con loro. Il Di Luggo aggiunge che alla notizia dell’assassinio della moglie Ugo Grimaldi si era mostrato più indispettito e seccato (per essere stato disturbato) che preoccupato.
Quel che è sicuro è che l’assassino di Anna Parlato Grimaldi sapeva (a meno di averla pedinata tutto il giorno o almeno tutto il pomeriggio di quel 31 marzo 1981) che la vittima avrebbe fatto ritorno a casa con due ore di anticipo quella sera, per festeggiare con i quattro figli il 24° compleanno della sua secondogenita Elvira. D’abitudine, infatti, la baronessa rientrava in via Petrarca 135 alle 22:30 (come testimoniarono allòra tutti i suoi familiari) e mai alle 20:35-20:45. Una decisione che la vittima (colpita ed uccisa all’interno del cortile della sua villa, appena varcato con l’auto il cancello d’ingresso della proprietà privata) aveva preso nel corso del pomeriggio comunicandola esclusivamente al suo amante Ciro Paglia (quest’ultimo aveva però un alibi sicuro: diversi testimoni confermarono che era con loro nella redazione del Mattino di Napoli tra le 20:35 e le 20:45), alla figlia Elvira e dunque ai pochi intimi che facevano parte della sua famiglia.
Lo scorso anno Elvira Grimaldi (oggetto di minacce ripetute da quando ha iniziato ad esporsi pubblicamente per chiedere verità e giustizia sull’assassinio di sua madre) ha comunicato attraverso i mezzi d’informazione di aver trovato, per caso e all’interno della villa di famiglia, un porto d’armi intestato alla mamma (sul quale non era stato indicato l’indirizzo di via Francesco Petrarca 135 ma quello di via Tasso 430. In via Tasso abitava – con i genitori – il nipote della baronessa, Gianluca Grimaldi: il ragazzo sequestrato dal clan camorrista dei Mallardo, su decisione del cartello criminale Nuova Famiglia, tra il dicembre 1980 e l’agosto 1981).
Di questo porto d’armi mai nulla si è saputo per 44 anni e, come ha sostenuto pubblicamente la stessa Elvira Grimaldi nel 2024, non è stato mai citato negli atti d’indagine sull’omicidio.
Anna Parlato Grimaldi si era dunque procurata un porto d’armi: è la conferma che temeva per la sua vita negli ultimi tempi.
Il 29 marzo 1981 mattina (due giorni e mezzo prima dell’omicidio) la baronessa Grimaldi confida alla figlia Elvira di volerle parlare di un fatto grave. Poi ha un misterioso appuntamento in via Manzoni, nella sede di una sua società immobiliare, e nella propria agenda (sotto la stessa data) scrive “CIM. Se m’………” (probabilmente la seconda frase sta per “Se m’ammazzano”, anche parchè lei ha lasciato di proposito nove puntini sospensivi). Il 30 marzo sera (24 ore prima del delitto) la vittima racconta alla figlia Elvira di aver fatto un brutto sogno la notte precedente e poi le comunica di volerla investire di alcune responsabilità connesse al patrimonio familiare, facendole giurare di assumersi questo futuro impegno.
Quando incontrò il suo assassino la baronessa era armata? In tal caso la sua arma fu portata via, dopo il delitto, dalla persona che la uccise? Che tipo di pistola aveva acquistato la nobildonna per difendersi in caso di aggressione?
In merito ad una pista camorrista sicuramente la ricostruzione collegata al sequestro del giovane Gianluca Grimaldi è più verosimile ma – anche qui – la dinamica dell’agguato non collima con le dichiarazioni fornite da un collaboratore di giustizia nell’ottobre 1997: Ciro Vollaro.
Il Vollaro (in sèguito morto suicida. Figlio del boss di Portici Luigi Vollaro) ha affermato che la vittima doveva essere solo ferita per mettere paura a lei e alla sua famiglia obbligando i Grimaldi a pagare l’intero riscatto richiesto dai rapitori di Gianluca Grimaldi, nonché per darle una lezione una volta appresa la notizia che lei si sarebbe rivolta al boss di Ottaviano/capo della Nuova Camorra organizzata Raffaele Cutolo (nemico dei rapitori di Gianluca Grimaldi) per far concludere in breve tempo il rapimento e per far accettare ai sequestratori il versamento di una somma di denaro inferiore a quella da loro richiesta (il 10 marzo 1981 erano stati pagati 888 milioni di Lire: i rapitori pretendevano 10 miliardi di Lire). Per questo motivo (ovvero per limitarsi a ferire Anna Grimaldi), secondo Ciro Vollaro, il sicario incaricato fu armato con una pistola di piccolo calibro e atipica per attentati di Camorra.

Il riscatto del rapimento – una volta esaurita la vicenda, agosto 1981 – fu diviso a metà tra la Nuova Famiglia e la ‘Ndrangheta (la mafia calabrese collaborò con la Camorra per consentire la gestione della prigionia del giovane sul proprio territorio). La parte destinata alla Camorra fu a sua volta spartita tra Luigi Vollaro, Luigi Giuliano (clan di Forcella), Giuseppe Mallardo (clan di Giugliano), Gennaro Licciardi (clan di Secondigliano-Napoli).
L’assassino di Anna Parlato Grimaldi ha sparato tre volte contro la vittima, quasi completamente al buio: all’addome (se voleva ferirla poteva bastare), alla gamba sinistra (se voleva ferirla poteva bastare) ed infine dietro l’orecchio all’altezza della mandibola (il colpo fuoriesce dalla bocca e provoca la morte).
Questa strada d’indagine è stata battuta dal 1997 al 2018, giungendo ad una archiviazione.
Se il movente passionale ed il sequestro di Gianluca Grimaldi non c’entrano è possibile formulare una terza ipotesi sul giallo di Posillipo: 44 anni fa Anna Parlato Grimaldi è forse entrata in qualche affare sporco (o di sua volontà o perché trascinata da qualcuno), danneggiando finanziariamente una persona che la conosceva molto bene oppure il socio/i soci di una persona che la conosceva molto bene? Ha commesso uno sbaglio gestendo qualche affare rischioso che l’ha portata a maneggiare molto denaro? Per questo motivo è stata punita?
In teoria non si può escludere neanche la vendetta di uno spasimante geloso, esterno o interno alla cerchia di parenti della vittima. Tra le conoscenze di Anna Parlato Grimaldi vi erano, oltre all’avvocato Paolo Diamante, altri possessori di pistole calibro 6,35?
Interrogato dopo il delitto il portiere di via Chiatamone 56, lo stabile nel quale si incontravano la nobildonna ed il suo amante Ciro Paglia per i loro appuntamenti privati (a volte i due amanti si vedevano in un altro appartamento sito in via Alessandro Manzoni), raccontò di essere salito una volta alla loro garçonnière (al secondo piano) per consegnare la posta alla baronessa (quindici giorni prima del delitto). Ad aprirgli la porta si presentò un giovane sulla trentina, magro, alto 1 metro e 75: si qualificò come il segretario di Anna Grimaldi e si fece dare la corrispondenza. Lo stesso giovane viene visto nuovamente dal portiere una settimana dopo il primo episodio e si fa consegnare altra corrispondenza in giacenza (sempre destinata alla baronessa).
Dieci giorni prima del delitto qualcuno citofona ripetutamente in via Chiatamone 56: Ciro Paglia, in quel momento solo nell’appartamento, va all’apparecchio ma non ottiene risposta dall’altra parte. Due giorni dopo ancora una citofonata indirizzata all’interno nel quale si incontrano i due amanti: questa volta con Ciro Paglia c’è anche Anna Parlato Grimaldi ma quest’ultima invita il giornalista del Mattino a non rispondere.
Il portiere fu sicuro d’aver successivamente riconosciuto nel giovane trentenne – da lui visto un paio di volte – Achille Lauro junior detto Achillino: un altro nipote acquisito di Anna Grimaldi. Noto alle cronache mondane dell’epoca per essere stato il compagno di Ira von Fürstenberg (nobile, presentatrice televisiva, attrice cinematografica, designer). Achille Lauro junior si suicidò con un colpo d’arma da fuoco a luglio del 1981 nella sua residenza napoletana in via Nevio, ad un chilometro di distanza da villa Grimaldi. Prima di togliersi la vita registrò un messaggio con il quale non attribuì il suo gesto alla depressione pur non specificando i motivi del gesto estremo.
Elvira Grimaldi è convinta che la spiegazione dell’omicidio della madre non ha a che vedere con le piste passionali: la soluzione del delitto porta, secondo lei, a una faccenda di soldi e di potere. Nel 1983, dopo un anno e mezzo di riservatezza e di silenzio, la famiglia Grimaldi si costituì parte civile nel dibattimento a carico di Elena Massa facendo propria la tesi della pubblica accusa contro la giornalista del Mattino di Salerno e chiedendo la condanna dell’allora imputata. Oggi, invece, la figlia della vittima sostiene l’innocenza della Dott.ssa Massa ritenendola anzi un capro espiatorio.
Elvira Grimaldi è l’unica della sua famiglia che oggi ancora si batte per la verità. Aspetta che qualcuno si faccia avanti per raccontarla: senza una nuova inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Napoli non sarà facile. Gli elementi per indagare – in più direzioni – ci sono. Basta la volontà degli inquirenti di ripartire daccapo.
La figlia di Anna Parlato Grimaldi è certa che l’assassino di sua madre è ancora in vita. Libero ed impunito.
Daniele Spisso
