Creare un’alternativa per chi è convinto di non averne: questo è ciò che rappresenta il laboratorio di creazione di strumenti musicali per alcuni detenuti all’interno del carcere di Secondigliano. Il laboratorio di liuteria è tenuto dal Maestro Vincenzo Romano, liutaio musicista dal 1993 che ha collaborato con svariati artisti del panorama italiano ed è parte integrante del progetto “Metamorfosi” della Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti” in collaborazione con la Cooperativa Sociale “L’uomo e il legno” attiva a Scampia; l’idea di punta è il riutilizzo di materiali di scarto per trasformarli in strumenti musicali unici, regalando loro così una nuova vita così come regala ai detenuti una speranza di sognare un futuro seguendo quest’antico mestiere. Abbiamo fatto qualche domanda al Maestro Romano che tiene il laboratorio nel penitenziario di Secondigliano.
Com’è nato il progetto “Metamorfosi”?
Questo progetto è stato ideato dalla Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti”, presieduta da Arnoldo Mosca Mondadori e pone lo sguardo sul tema della migrazione attraverso appunto una metamorfosi: quella del legno delle barche dei migranti, trasportate dal molo Favaloro di Lampedusa in alcune carceri italiane, tra cui quella di Secondigliano e che viene trasformato così da persone detenute in strumenti musicali. Nel progetto sono coinvolti, in totale, i laboratori di liuteria delle carceri di Opera e di Secondigliano ed i laboratori di falegnameria nelle Case di Reclusione di Monza e Rebibbia. L’idea di prendere queste barche dei migranti e crearne degli oggetti, tra cui gli strumenti musicali, è un modo anche per testimoniare la sofferenza delle persone che partono dal loro Paese, spinte dalla forza della disperazione e che affrontano il mare su queste barche, che non sono quelle che noi abbiamo in mente, ma che hanno una struttura che costringe loro a viaggiare stese e con pochissimo spazio, una situazione impressionante. Con questo laboratorio, cerchiamo di creare un nuovo sbocco per i detenuti, che possono anche immaginare di imparare questo mestiere, lasciandosi alle spalle il proprio passato e trovare, in quest’arte, il loro modo di rivalersi su quanto commesso.
Chi coordina il progetto all’interno del carcere di Secondigliano e come si svolge nel pratico?
Il laboratorio di liuteria lo tengo io personalmente, grazie alla collaborazione con la Cooperativa “L’uomo e il legno” e mi coordino con i membri della Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti”, che avendo sede a Milano, scende qui di tanto in tanto. Dunque, per gli aspetti pratici sul posto, sono il referente e mi coordino con la Fondazione nella persona di Greta Corbella. Il laboratorio qui a Napoli è nato nel 2023 e partecipano attualmente 3 detenuti, ma avremmo piacere di allargarlo a più persone appena sarà possibile: le attività si svolgono 3 mattine a settimana e, durante le nostre lezioni, costruiamo strumenti in maniera artigianale, usando appunto ad esempio il legno delle barche dei migranti, aiutandoci con macchinari, tanta buona volontà ed entusiasmo. Ad oggi, in un anno e mezzo, abbiamo già costruito 3 chitarre classiche, 5 chitarre elettriche, un basso elettroacustico e stiamo cominciando la produzione di altre 3 chitarre classiche. Il progetto è formato interamente da persone che non avevano mai fatto questo mestiere, quindi, possiamo dire che stiamo raggiungendo degli ottimi risultati.
Qualche riflessione sull’esperienza fino ad oggi: quali sono le cose che l’hanno più colpita e quali invece le difficoltà incontrate lungo questo percorso?
Il primo giorno che ho messo piede nel laboratorio, ho notato che c’erano 3 banchi per 3 detenuti e gli ho subito detto di lavorare per arrivare a creare 3 chitarre. Sono rimasto sorpreso e profondamente colpito dal loro entusiasmo e dalla loro voglia di fare: infatti le nostre produzioni sono sempre a 3 alla volta, perché hanno da subito seguito le indicazioni e si sono messi all’opera, veramente con grande dedizione. Si sa che la realtà carceraria è difficile e sicuramente, avendo a che fare con la parte laboratoriale, non conosco nel dettaglio quanto vivono ogni giorno, ma la loro felicità nel frequentare il laboratorio è tangibile: arrivano addirittura in anticipo alle lezioni, perché è tanta la loro voglia di mettersi a disposizione per imparare e ci riescono, con le naturali difficoltà dovute alle mancate conoscenze sulla liuteria, ma non avrei mai immaginato un simile entusiasmo. Non ci sono state fino ad oggi molte difficoltà, se non quella di aiutare loro a conoscersi e a collaborare, perché ognuno ha una storia e un vissuto diverso: due ragazzi sono andati via e sono subentrati due che prima erano solo uditori, ma dopo un breve periodo di assestamento, si è creato un buon equilibrio del gruppo di lavoro.
Il momento che porta nel cuore?
Sicuramente, anche perché sono fan da sempre, l’incontro con Vasco Rossi. Abbiamo avuto modo di consegnargli una chitarra realizzata dai detenuti: è stata un’esperienza meravigliosa, perché è stato anche molto disponibile, una persona molto umana, al di là del personaggio che si conosce.
Quali pensa che siano gli effetti di questo laboratorio nell’ottica della rieducazione carceraria?
Mi sento di dire che i ragazzi si sono affidati in maniera cieca in questa impresa e vedo in loro una sorta di rinascita che lascia ben sperare per il loro futuro, ma soprattutto per il futuro di queste iniziative, che vanno sostenute sempre più e ancora più potenziate, perché possono avere una risonanza proprio sulla società. Qualcuno di loro mi parla di ciò che farà in futuro, finita la pena, e qualcuno sogna di fare questa professione. È importante far vedere loro che esiste un’alternativa non solo professionale, ma di vita: con loro spesso parliamo anche di dinamiche esterne e provo sempre ad inculcare loro la voglia di vedere il mondo con occhi diversi, perché il vero problema è la mancanza di visione di alternative, prima ancora di un’alternativa vera e propria. Senza quindi l’idea di offrire questa nuova visione, il carcere non assolve al suo scopo ultimo.
Sara Finamore
