Periferiamonews.org ringrazia la sociologa e criminologa Dott.ssa Gabriella Notorio (operatrice nei centri antiviolenza a Napoli – presidente dell’associazione sita a Marano Frida Khalo – La città delle pari opportunità – operatrice dello sportello antiviolenza Le porte di Frida) e Stefania Fanelli (fondatrice dell’associazione sita a Marano Frida Khalo – La città delle pari opportunità ed operatrice dello sportello antiviolenza Le porte di Frida) per aver accettato di rilasciare questa importante intervista.
-Presentatevi ai nostri lettori.
Siamo entrambi operatrici dello Sportello Antiviolenza “Le Porte di Frida” e socie dell’associazione Frida Kahlo la Città delle Pari Opportunità di Marano di Napoli.
-Come è nata in voi l’idea di dar vita ad uno Sportello che quotidianamente è impegnato nel campo della violenza contro le donne e dei maltrattamenti domestici?
Stefania: in realtà lo Sportello nasce a seguito di due femminicidi avvenuti a Marano, quello di Fiorinda Di Marino nel 2009 e di Enzina Cappuccio nel 2012. Fiorinda Di Marino era un’insegnante del nostro territorio, Enzina una donna ipovedente e con importanti problemi fisici. Entrambe sono state massacrate dai loro partner. In quel periodo, a fronte di tali terribili femminicidi, decidemmo di dar vita ad uno Sportello che inizialmente svolgeva solo una funzione di ascolto mentre al suo interno realizzavamo attività volte a promuovere e diffondere una cultura di genere. Come, ad esempio, i laboratori di autoscrittura e la biblioteca delle donne. Nel tempo poi è divenuto Sportello Antiviolenza, con una precisa e mirata area di intervento professionale al contrasto della violenza contro le donne, dedicato appunto alla memoria di queste due nostre concittadine.
-Da quanti anni opera la vostra associazione? Esattamente come viene svolta la vostra attività?
Gabriella: la nostra associazione opera dal 2006 ed è sorta inizialmente come associazione culturale che si occupava di questioni femminili legati al tema del lavoro, della salute, della riproduzione ma anche di temi afferenti alle discriminazioni e agli stereotipi di genere. Nel corso del tempo poi si è trasformata, per volere di tutte le socie e i soci, in associazione di volontario, oggi ODV, ovvero organizzazione di volontariato, iscritta all’Albo Comunale delle Associazioni di Volontariato e al Registro delle Associazioni di Volontariato della Regione Campania, n.81 del 17.03.2015.
-Cos’è la violenza di genere e in quali forme si manifesta?
Gabriella: la violenza maschile contro le donne è determinata da questioni legate al genere. In sostanza si riferisce a qualsiasi forma di violenza che viene direttamente esercitata contro una persona, spesso le donne, a causa dell’appartenenza al suo genere, quello femminile. Tale forma di violenza può manifestarsi in vari modi. Abbiamo le forme visibili e quelle invisibili. Le prime sono condotte sul corpo della vittima, mediante lesioni, lividi, ecchimosi, schiaffi, pugni, calci, spintoni e ricorrendo a tutto ciò che provoca dolore o danno fisico e tocca l’integrità della donna. Questi atti sono quasi sempre presenti nei maltrattamenti domestici. Inoltre, ci sono gli abusi sessuali (come lo stupro o le molestie sessuali), che non sempre vengono agite dagli sconosciuti. In molte relazioni la violenza sessuale è usata per punire la vittima quando si ribella ed imprimere il proprio potere su di essa. Le seconde, invece, sono dette invisibili, in quanto più difficili da riconoscere, perché agite sul piano verbale, psicologico ed economico. Non possiamo dimenticare gli atti persecutori, che tendono ad essere presenti in particolare quando le relazioni sono in fase di chiusura e vengono agite dal soggetto maltrattante per ossessione e volontà di controllo-dominio sulla donna.
-I gravissimi episodi di femminicidio sono purtroppo in aumento da molti anni in Italia: le statistiche recenti che cifre ci restituiscono?
Stefania: innanzitutto preme sottolineare perchè si parla di Femminicidio. Il termine “femminicidio” viene usato come cornice interpretativa, poiché spiega il motivo per cui una donna viene uccisa da un uomo. Tale motivo risiede nel fatto che si tratta appunto di una donna legata ad un uomo da un vincolo affettivo e sentimentale. Le statistiche fornite dall’Istat ci dicono che ogni tre giorni muore una donna. Nel 2024 le donne uccise in ambito familiare o affettivo sono state 113, di queste 61 sono state ammazzate dai loro partner. Questo dato si ripete anno dopo anno. Nel 2025 siamo già intorno ai 40 casi. Ciò conferma che si tratta di un problema strutturale.
-Secondo voi quali sono le cause che determinano ciò?
Gabriella: quando si parla di violenza contro le donne dobbiamo necessariamente spiegare che non esiste una sola causa. Al contrario i fattori e le cause sono molteplici e hanno un retaggio in comune che è appunto il genere. Nelle società patriarcali il genere agisce mediante i ruoli maschili e femminili. Gli uomini sono ritenuti superiori e detengono il potere mentre le donne vengono viste come soggetti inferiori, da sottomettere e dominare. La cultura della violenza nasce da una asimmetria di potere che incide sulla formazione di valori e norme trasmesse principalmente nelle famiglie, spesso tradizionali. Queste si fanno portatrici di tali visioni in cui il padre è il capofamiglia ma anche il “padre padrone”. Da ciò inevitabilmente si generano disuguaglianze di genere, perché anche all’esterno della casa gli uomini sentono di avere diritti e libertà maggiori rispetto alle donne, soprattutto di avere diritto di controllo e potere sulla donna. Quest’ultima viene pertanto resa simile ad un oggetto di proprietà, che non può esprimere dal proprio canto diritti e libertà non permessi dall’uomo. La differenza di potere e di opportunità tra uomini e donne crea un terreno fertile per la violenza. Alcune famiglie che chiamiamo dunque patriarcali accettano e usano la violenza per risolvere i conflitti o per mantenere il controllo sulla partner.
-Le leggi che toccano questa materia e che sono attualmente in vigore nel nostro Paese sono sufficienti, a vostro giudizio, per un efficace contrasto? Bastano come deterrente?
Gabriella: le leggi ci sono ma non sono sufficienti ad indurre il decremento del fenomeno. Questo succede perché non viene presa in considerazione la Convenzione di Istanbul, il principale, se non unico, strumento giuridico internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Tale Convenzione, ratificata anche dall’Italia nel 2011, ritiene necessaria la convergenza delle 4 “P” ossia “Prevenzione, Protezione, Punizione e Politiche Integrate”. Nel nostro Paese e per il nostro Governo attuale purtroppo sembra esserci una sola “P”, quella mirante alla punizione dei femminicidi e degli autori di violenza. Sappiamo bene che punire non basta. Aggravare le pene non basta se non si adottano gli altri strumenti quali la Prevenzione e la Protezione delle vittime. Per prevenire occorre introdurre l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, in ogni ordine e grado, senza le quali sarà impossibile eliminare la violenza di genere e la cultura del patriarcato. Come dicevamo in precedenza, la violenza è appresa e trasmessa nei valori, nelle norme e nei modelli familiari. Solo la scuola può intervenire quale agenzia di socializzazione ad un lavoro di decostruzione di tali visioni operando una cultura fondata sul rispetto dell’altro da Sé, sull’uguaglianza delle libertà a partire dalle relazioni affettive. Sulle politiche integrate c’è un grande gap, in quanto non sempre gli attori più direttamente coinvolti nella tutela e nella protezione delle vittime, come ad esempio i Centri Antiviolenza, sono inclusi nella scrittura delle leggi o negli interventi e nelle azioni messe in atto nelle scuole e nei servizi secondo una logica di rete.
-Lo Stato italiano è, a parer vostro, adeguatamente “attrezzato” (con le sue istituzioni, con i suoi enti e con le sue autorità sul campo, con le sue leggi) per far fronte a questa spaventosa piaga sociale?
Stefania: come già detto, nelle leggi – sia quella del femminicidio del 2013, sia la cosiddetta legge Codice Rosso la n.69/2019 – nulla è stato messo in campo per le politiche di prevenzione. Noi pensiamo che bisogna agire prima che la donna divenga vittima di femminicidi. Quello che noi riscontriamo è che nel nostro Paese ancora non esiste ancora un piano straordinario per l’occupazione femminile. La misura del reddito di libertà, che offre sostegno economico alle vittime di violenza, oltre ad essere insufficiente interviene di fatto per un breve periodo e solo per poche beneficiare. Bisogna rendere la donna autonoma, in quanto per potersi liberare dalle relazioni tossiche e maltrattanti serve l’indipendenza economica. Occorre, inoltre, che la formazione obbligatoria prevista per le forze dell’ordine sia obbligatoria anche per i Pubblici Ministeri ed i magistrati. Troppe volte abbiamo assistito a misure cautelari che non arrivano. A questo si aggiunge un altro vuoto, ovvero quello degli enti locali, cioè i Comuni: non dispongono di strumenti adeguati per intervenire nella messa in protezione delle vittime quando sono in pericolo di vita. Ad esempio, nel nostro Comune, i Servizi Sociali territoriali non hanno un numero di reperibilità che le donne vittime di violenza possono contattare in caso di bisogno nei giorni festivi.
-Le associazioni come la vostra si sentono abbandonate dalle istituzioni dello Stato italiano? Di cosa avreste bisogno per svolgere il vostro lavoro al meglio che si può?
Stefania: il nostro Sportello è stato oggetto piu’ volte di vandalizzazioni da parte di soggetti ignoti e di atti intimidatori veri e propri agiti per allontanarci dal territorio e dalle donne. Le istituzioni ci hanno abbandonate troppo spesso, non fornendoci gli strumenti adeguati, neanche divulgano il nostro numero reperibile h. 24. In realtà, questo addirittura accadeva persino quando svolgevamo il servizio di Sportello Antiviolenza per conto del Comune di Marano, autorizzate da una delibera di giunta comunale. Non ci hanno mai fornito un luogo adeguato e sicuro.
-Al netto dei casi specifici quali sono i meccanismi psicologici che generalmente-abitualmente scattano in un individuo di sesso maschile spingendolo a fare del male ad una fidanzata o ex fidanzata? Ad una moglie o ex moglie?
Gabriella: sempre tutti quelli che non hanno nulla a che vedere con l’amore. Quando in una relazione ci sono violenza, controllo, possesso, dominio, sottomissione, limitazione della libertà e dei diritti dell’altro permane sempre un problema di potere. Molti uomini maltrattanti hanno bisogno di dominare ed opprimere la loro partner, ritenendola un oggetto alla loro mercè. Se ritengono di aver perso il potere, se sentono solo il rischio di perderlo, possono giungere anche alla distruzione dell’altro, ovvero il femminicidio, allo scopo di mantenere il proprio status quo. Per questo molti non hanno timore delle punizioni e non si pentono o provano rimorso. Al contrario, ritengono persino di aver fatto la cosa giusta. Le storie più note alla cronaca nera ci confermano tali situazioni.
-Le vittime denunciano facilmente oggi?
Stefania: sicuramente più di ieri ma questo succede perché ci sono i centri e gli sportelli antiviolenza, che infondono fiducia alle vittime. Sapere che esiste un luogo in cui essere ascoltate, supportate ma soprattutto credute è di grande aiuto alla possibilità di denunciare ed uscire dal circuito della violenza.
-Una volta raccolta una denuncia in che modo la vittima viene protetta?
Gabriella: le donne che giungono al nostro Sportello ricevono sostegno ed assistenza sia a livello psicologico sia legale in modo totalmente gratuito. A queste attività affianchiamo un percorso di supporto motivazionale, avendo nella nostra associazione una Life Coach che si occupa di autostima. Lavoriamo, inoltre, in rete con il Servizio Sociale territoriale e con le forze dell’ordine per offrire alle donne vittime di abusi e maltrattamenti una presa in carico totale. Nelle situazioni di emergenza e pericolo di vita si decide, in modo congiunto ed in accordo al volere delle donne, la collocazione in una casa protetta o casa rifugio.
-Vi è mai capitato di raccogliere denunce da parte di uomini vittime di violenza o di atti persecutori da parte di ex mogli, mogli, fidanzate, ex fidanzate?
Gabriella: noi non raccogliamo denunce, perché questo al massimo può avvenire nelle caserme e nelle Questure eventualmente. Lo Sportello Antiviolenza, così come i Centri, lavorano esclusivamente con personale femminile e l’utenza è femminile.
-Vi è mai capitato, per episodi di maltrattamenti o di atti persecutori, di trovarvi dinanzi a presunte vittime che hanno inventato i fatti raccontati o che li hanno eccessivamente “pompati” nel ricostruirli?
Gabriella: personalmente no, perché chi approda in un centro o uno sportello Antiviolenza deve, come prima cosa, raccontare la sua storia di vita e lo fa rivolgendosi a professioniste formate ed esperte, che, anche con poche domande ed osservando alcuni comportamenti, comprenderebbero subito la distorsione dei fatti narrati.
-Per episodi del genere come accorgersi se una denuncia è totalmente genuina o totalmente-parzialmente fasulla?
Stefania: comprendere tali situazioni compete ai giudici e alla magistratura. Ognuno fa il proprio lavoro e interviene in fasi distinte.
-L’ultimo grave episodio che ha segnato in modo tragico e scioccante la cronaca nera di questi ultimi giorni è stato l’efferato assassinio della quattordicenne Martina Carbonaro (avvenuto ad Afragola in Campania). Uccisa a colpi di sasso dal fidanzato 18enne Alessio Tucci perché intenzionata ad interrompere per sempre un fidanzamento iniziato due anni prima. Per quale motivo una persona che ama perde in modo così spaventoso il proprio controllo dinanzi alla fine di una storia trasformandosi in un mostro, in un assassino capace di togliere la vita (brutalmente) alla ragazza che occupa un posto nel suo cuore e alla quale, in teoria, vuole bene?
Gabriella: la prima cosa da chiarire è che l’amore non ha nulla a che vedere con la morte. Dobbiamo ribadirlo con forza anche nel linguaggio e nella comunicazione. Se si uccide la propria partner o ex partner di certo non possiamo parlare di amore. La questione è dunque sempre connessa alle dinamiche di genere e potere.
-I social e le innumerevoli insicurezze generate dall’epoca contemporanea hanno aumentato il senso di solitudine delle persone spingendo tante di esse ad aggrapparsi, in maniera possessiva ed abnorme, agli affetti che trovano nella vita reale? E’ la dimostrazione della incapacità di stare da soli e di trasformare perciò gli amori in una questione di vita o di morte?
Gabriella: i social amplificano l’idea di una vita parella e talvolta dissociata dalla realtà, per cui chi è più fragile, chi si sente solo ed isolato può essere più facilmente esposto ad una possibile condizione di vittimizzazione oppure cadere in relazioni disfunzionali. La frustrazione e lo stress hanno certamente un peso e questo dipende anche dalla difficoltà dei soggetti di elaborare e gestire le proprie emozioni, soprattutto nelle fasi di difficoltà, cambiamento o transizione.
-Oggi si parla tantissimo di analfabetismo emotivo: cos’è? Può essere una chiave per interpretare queste degenerazioni del nostro presente nelle relazioni umane (affettive e non)?
Gabriella: sicuramente molte persone non sono in grado di regolare le proprie emozioni e questo accade perché vi è all’origine un disagio emotivo. Ci sono, inoltre, molte problematiche legate alle forme di attaccamento infantili alle figure di riferimento di tipo disfunzionale, ovvero i caregiver. Di questo si parla veramente molto poco sebbene vi sia un legame con lo sviluppo di psicopatologie, che molte volte sono presenti nelle condotte maltrattanti. Voglio precisare che le psicopatologie, laddove presenti, non rendono un soggetto maltrattante incapace di intendere o volere, altrimenti sarebbe giustificabile il suo comportamento, ma spesso queste determinano un forte disturbo emotivo o di comportamento che può sfociare nella personalità antisociale.
-Dott.ssa Notorio, le chiedo (in qualità di sociologa ma anche di criminologa): come è possibile arrivare oggi ad una totale mancanza di rispetto nei confronti della vita umana? Come è possibile arrivare a compiere un delitto di sangue con tanta facilità e per motivi così banali? (Nel caso specifico di Martina Carbonaro: il rifiuto di un abbraccio da parte del fidanzato)
Gabriella: in questo caso, credo che siamo in presenza di un giovane maltrattante non in grado di accettare la separazione da Martina per una questione di potere e comando. L’abbraccio non accettato ha spinto al delitto perché si incastra nell’idea di Alessio Tucci di perdita di controllo sulla sua partner. Purtroppo, si tratta di questioni di genere, legate alla società patriarcale, un problema di natura culturale che ha ripercussioni nelle relazioni affettive uomo-donna. Si tratta di dinamiche simili ad altri femminicidi, in cui gli uomini non tollerano la libertà e l’autodeterminazione delle proprie partner.
-Perché i giovani di oggi sono afflitti da tanto malessere? Cosa manca nella loro vita e in che modo possono essere aiutati prima che possano rovinarsi per sempre la vita trasformandosi in assassini?
Stefania: manca una sana dimensione dell’affettività e dell’essere all’interno di una relazione. Entrambe le sfere richiedono il rispetto dell’altro da sé.
-Giulia Tramontano assassinata (in stato di gravidanza, per giunta) dal suo compagno Alessandro Impagnatiello; Giulia Cecchettin uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta; Martina Carbonaro colpita a morte dal suo fidanzato Alessio Tucci. Qual è, se c’è, un comune denominatore da poter tracciare per questi tre uomini che si sono macchiati di così orrendi femminicidi?
Stefania: il denominatore comune è che si tratta di “figli sani del patriarcato”. Non dei mostri, non dei soggetti malati, non persone incapaci di capire quello che stavano facendo. Purtroppo questi uomini hanno odiato le proprie partner, le hanno invidiate, sono entrati in competizione con loro e non hanno accettato un rifiuto, una scelta diversa e lo hanno dimostrato uccidendole.
-Negli istituti scolastici italiani viene concesso poco o zero spazio all’educazione sessuale e all’educazione sentimentale: perché, a parer vostro?
Gabriella: nelle scuole lo spazio viene dato solo se ci sono dirigenti nonché docenti sensibili sul tema ed interessati a farne un lavoro continuo nel tempo. Chiaramente non basta e questo è il motivo per cui chiediamo sempre che invece l’educazione affettiva diventi una materia obbligatoria, un’ora di amore e rispetto dell’altro, di gestione delle proprie ed altrui emozioni, di intelligenza emotiva per dirla alla Goleman.
-Al netto dell’aspetto legislativo, come intervenire oggi (sul piano sociale, culturale, scolastico, familiare, psicologico) per modificare radicalmente l’attuale status-quo e per fermare sul nascere la violenza di genere, i maltrattamenti, i femminicidi?
Gabriella: ci vuole tempo ma bisogna necessariamente partire con l’educazione sentimentale e sessuale nelle scuole. Immaginiamo che se domani nelle scuole queste divenissero materie al pari delle altre il cambiamento sarebbe possibile in un trentennio. Noi combattiamo contro un fenomeno dal forte retaggio culturale che non ha di certo dimenticato il delitto d’onore, padre del femminicidio.
Stefania: la politica deve intervenire legiferando in materia ma per fare questo deve coinvolgere i centri Antiviolenza, che possono dare una reale chiave di lettura sulle strategie di intervento, tutela, protezione delle vittime, occupandosi di prevenzione nelle scuole. Non si può più rimandare. Mentre parliamo ci sarà sicuramente un’altra vittima di femminicidio, un altro bambino orfano di femminicidio. E questo è un altro grave dramma di cui ci si occupa ancora poco e male.
Daniele Spisso
