Il 29 ottobre 1860, alla notizia della morte di don Gaetano Errico, Secondigliano fu avvolta da un silenzio incredulo e da un dolore collettivo. In quelle ore, le strade del quartiere si trasformarono in un fiume di gente: famiglie intere, anziani, bambini, tutti in attesa di rendere omaggio al loro pastore.
Quando la salma attraversò le vie di Secondigliano, una pioggia di fiori scese dai balconi, gesto spontaneo e carico di affetto. Il passaggio del feretro fu un momento che rimase scolpito nella memoria di chi lo visse, un saluto popolare che parlava più di mille parole.
Una delegazione, guidata dal sindaco, si recò persino da Giuseppe Garibaldi per chiedere il permesso di seppellire il corpo del sacerdote nella chiesa da lui fondata. La richiesta fu accolta: ancora oggi don Gaetano riposa lì, nel cuore del quartiere che lo ha visto vivere, operare e amare.
Il popolo gridava: “È morto il Santo”. Una fama di santità che nacque ancor prima della sua canonizzazione, radicandosi profondamente nella cultura e nella fede popolare. L’immagine di don Gaetano campeggia nelle case, nei negozi, negli uffici e persino nelle auto, come un compagno di viaggio silenzioso e protettivo.
Oggi, a distanza di tanti anni, la sua memoria è ancora viva. Non solo per la canonizzazione voluta dalla Chiesa, ma per quel legame indissolubile che ha unito don Gaetano alla sua gente.
Un legame che il tempo non ha indebolito, anzi ha reso più solido, diventando parte della stessa identità di Secondigliano.
