Alle 10:07, nel Duomo di Napoli gremito di fedeli, l’annuncio dello scioglimento del sangue di San Gennaro ha scatenato l’applauso della folla. Ma quest’anno, più ancora del prodigio, a colpire è stata l’omelia dell’arcivescovo Domenico Battaglia, che ha trasformato il rito in un grido di responsabilità collettiva.
Con voce commossa, il cardinale ha affermato: «Il sangue di San Gennaro si mescola idealmente al sangue versato in Palestina, come in Ucraina e in ogni terra ferita dalla violenza. Il sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato». Parole forti che hanno risuonato come un atto d’accusa contro le guerre e le ingiustizie del nostro tempo.
Battaglia ha usato immagini dure, evocative: «Se potessi, raccoglierei in un’ampolla il sangue di ogni vittima — bambini, donne, uomini di ogni popolo — e lo esporrei qui, sotto queste volte, perché nessun rito ci assolva dalla responsabilità». Poi il riferimento diretto a Gaza: «È il sangue di ogni bambino palestinese che metterei accanto a quello del santo, perché non esistono ‘altre’ lacrime: tutta la terra è un unico altare».
Non si è limitato a un richiamo simbolico, ma ha rivolto un appello concreto: «Ascolta, Israele: non ti parlo da avversario, ma da fratello nell’umano. Cessa di versare sangue palestinese. Cessino i colpi che sbriciolano case e infanzie».
Il cardinale ha quindi richiamato i fedeli al senso autentico della devozione: la fede non può ridursi a ritualità, ma deve trasformarsi in impegno concreto per la pace, la giustizia, la solidarietà. «La preghiera senta il peso di ogni ferita e non scivoli via», ha ammonito.
Il miracolo dello scioglimento del sangue, che la tradizione interpreta come segno di protezione per Napoli, diventa così occasione di riflessione universale: la città del patrono non è soltanto custode di una devozione secolare, ma specchio delle contraddizioni del mondo, chiamata ad essere laboratorio di pace e fraternità.
