Nella notte del 2 novembre 1945, quando Napoli portava ancora addosso le ferite dei bombardamenti, un episodio inquietante e commovente si sarebbe consumato lungo la strada che conduce al cimitero della Doganella, tra Capodichino e Poggioreale.
Un operaio, di ritorno dal turno notturno, guidava la sua auto sotto una pioggia battente. Sui sedili, un vecchio impermeabile macchiato d’olio. Improvvisamente, in mezzo alla strada, gli apparve una giovane donna, tremante e bagnata fradicia. L’uomo, colpito dalla sua bellezza e dalla delicatezza dei suoi tratti, si fermò e la invitò a salire, offrendole il suo impermeabile per ripararsi dal freddo.
Durante il tragitto, la ragazza chiese di essere accompagnata fino alla sua abitazione, a Capodichino. Giunti a destinazione, però, approfittando di un attimo di distrazione del conducente, sparì nel nulla, lasciando dietro di sé solo il profumo della pioggia e il silenzio della notte.
Il giorno seguente, l’uomo tornò in quella casa per recuperare l’impermeabile. Gli aprì una donna anziana, che ascoltò il racconto con crescente turbamento. Quando egli descrisse la ragazza, la donna lo interruppe con voce rotta: «Quella che lei dice di aver accompagnato… era mia figlia. È morta un anno fa, sotto le bombe».
Incredulo, l’operaio seguì la donna fino al cimitero. Davanti alla tomba della giovane, rimase pietrificato: lì, perfettamente piegato, c’era il suo impermeabile.
Da allora, la leggenda dell’“anima della Doganella” si tramanda come una delle più suggestive storie del dopoguerra napoletano.
Ogni anno, nella notte dei defunti, qualcuno giura di aver visto, lungo quella stessa strada, una figura femminile apparire tra la pioggia, in cerca di un passaggio verso casa.
Un racconto che, più che una paura, evoca una struggente nostalgia: quella di chi, anche dopo la morte, continua a cercare il calore di un gesto umano.
