L’esperienza nel collegio di Pacognano e l’infanzia nella Secondigliano anni ’50 nel libro di Gabriele Coppeto

Un racconto autobiografico fatto non solo di bei ricordi, ma di momenti difficili e storie dolorose: questo è quello che Gabriele Coppeto ha voluto tirar fuori nelle pagine del suo libro “Il Collegio di Pacognano” che racconta gli anni in cui ha vissuto all’interno dell’omonimo collegio che è stato teatro di violenze e abusi e che ha lasciato in lui un senso di angoscia e tristezza.

Da dove nasce l’idea di scrivere questo racconto e di cosa parla nel libro?

«Ho scritto questo libro per ricordare quello che accadeva negli anni ’60 quando i genitori portavano i loro figli nei collegi per risparmiare e per permettere loro di studiare: ma i collegi erano tutta un’altra storia, soprattutto quello dov’ero io, dato che era un collegio pubblico e si trovano anche ragazzini che poi sono diventati dei criminali. Erano ambienti repressi, dove si vivevano violenze di ogni genere e abusi. In particolare, ho scritto del collegio di Pacognano, un borgo di Vico Equense, dove sono stato trasferito da Secondigliano, dal collegio di padre Cosimo Luciano. I miei genitori mi portarono in questo istituto in Costiera perché scappavo spesso da quello di Secondigliano, “L’Opera di Nazareth”, ma furono anni difficili.

All’interno di questo istituto, appena trasferito, non riuscivo a socializzare con gli altri bambini, mi sentivo abbandonato, triste e l’unica cosa che mi tirava su era la bellezza della natura intorno, il verde dei prati, le montagne, il Monte Faito che vedevo dalla finestra e proprio questa visione mi rasserenava.

Nel libro però racconto anche degli episodi spiacevoli successi nel collegio di Secondigliano e di quando poi i miei genitori, nel ’66, mi portarono via da e andai alla scuola “Domenico Cimarosa” di Aversa: feci gli ultimi tre mesi di scuola lì, però non riuscii a prendere la sufficienza e ho recuperato “da grande”, prendendomi la licenza media dopo il servizio militare e diplomandomi in elettrotecnica nell’84. È un po’ una fotografia di quei tempi, anche di come si vivevano le feste patronali e le vacanze, al di là dell’istituto.

Ciò che mi ha ispirato nella scrittura è stata la vista che ho da casa mia: infatti, dal mio quarto piano, vedo la Costiera Amalfitana e subito mi è tornato alla mente il ricordo di Pacognano e così, sostenuto anche dai miei figli, ho deciso di tirare fuori questo piccolo racconto. Nel libro, tra una pagina e l’altra, ci sono anche delle foto che ho scattato di quei luoghi per aiutare il lettore ad immergersi meglio nella storia».

È ritornato a Pacognano successivamente?

«Sì, con i miei figli e mi è rimasto impresso questo ricordo un po’ tormentato. Io ho scritto quello che ricordavo e come potevo, perché non sono uno scrittore e l’ho fatto anche per non tenermi dentro tutte le sensazioni che ho provato e per, in un certo senso, denunciare ciò che avveniva in quegli istituti: fatti veramente gravi e ricordo in particolare padre Cosimo Luciano dell’istituto di Secondigliano che era molto severo con i ragazzi. A me ha segnato molto il suo atteggiamento, soprattutto quando minacciava i ragazzi più irrequieti di trasferirli “al Serraglio” di Piazza Carlo III».

Un piccolo bilancio dopo questa esperienza?

«Adesso non esistono più i collegi e la scuola è stata totalmente rivoluzionata: dopo tutto, mi sento fortunato perché dopo il collegio, ho ripreso comunque la mia vita in mano e ho ricominciato anche a studiare e ho lavorato come elettricista. Ancora adesso che sono in pensione, amo leggere i romanzi di Pirandello, Grazi Deledda e Manzoni, non ho perso la passione per la letteratura che mi è stata trasmessa alla scuola serale. Non conta se e quanto il libro avrà successo, il mio piacere è stato poter scrivere e raccontare questo pezzo di vita».

Dove è possibile acquistare il libro?

«Il libro è acquistabile online attraverso questo link».

Sara Finamore

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