Eva Mikula: la donna-coraggio che ha permesso di scoprire e far arrestare gli assassini della banda della Uno bianca. In un bellissimo libro la sua storia e il suo valoroso esempio

Originaria della Transilvania, classe 1975, nata in una famiglia contadina di modeste condizioni economiche, sottoposta (come tutti i rumeni) al feroce regime del sanguinario dittatore Comunista Nicolae Ceausescu, Eva Mikula ha vissuto una gioventù molto difficile: un padre autoritario che tradiva la moglie picchiandola frequentemente, un fratello più grande di lei che ne ha abusato sessualmente per lungo tempo. Quello che le ha permesso di andare avanti è stata sempre la sua forza, la sua grande personalità, la volontà di una combattente che ha saputo fare a cazzotti con la vita per cercare un futuro migliore.

Non ancora maggiorenne Eva decide di scappare da casa: con qualche indumento, il suo inseparabile violino e pochi spiccioli raggiunge l’Ungheria trovando un lavoro umile in una tavola calda di Budapest come lavapiatti e poi come cameriera ai tavoli. E’ qui che, nel febbraio 1992, Eva conosce per caso il camionista e carrozziere Fabio Savi (più grande di lei di 15 anni, in via di separazione dalla moglie e con un figlio piccolo).

L’uomo si invaghisce quasi subito di Eva, la corteggia, sembra molto gentile e premuroso. Le propone di lasciare quella realtà per raggiungere con lui l’Italia e vivere in condizioni migliori dando una radicale svolta alla propria esistenza. Eva accetta perché – nella sua ingenuità di ragazza dell’est Europa che non ha mai viaggiato nel Mondo e che non ha mai avuto grande esperienza degli uomini – è convinta di aver trovato il suo “Principe azzurro”. I due si trasferiscono in una modesta abitazione a Torriana, un piccolo centro abitato dell’Emilia Romagna (la regione della quale è originario Savi) in provincia di Rimini.

E’ una fiaba d’amore che dura poco: Fabio si rivela subito come un uomo geloso, possessivo e per questo molto violento (la picchia spesso procurandole anche pesanti danni fisici). Soprattutto emerge dopo pochi mesi di convivenza il suo essere un poco di buono: possiede armi, tante armi che nasconde in casa e che spesso indossa.

Eva scopre ben presto che Fabio Savi è uno dei componenti della nota banda criminale della Uno bianca: una organizzazione di rapinatori e spietati assassini che sta seminando terrore, morte dal giugno 1987 tra l’Emilia Romagna e le Marche. Il bilancio finale (datato: novembre 1994) sarà, infatti, di 103 azioni criminali, 114 feriti, 24 morti, un bottino di 2 miliardi 164 milioni 482 mila 219 lire. Tra i loro bersagli: caselli autostradali, distributori di benzina, supermercati, extracomunitari, accampamenti nomadi, testimoni oculari, commercianti, carabinieri, poliziotti, furgoni portavalori, banche.

La vita di Eva durante i 33 mesi di convivenza con Fabio Savi in Italia (aprile 1992 – novembre 1994) diventa un incubo: soggiogata dalla paura e dalle minacce di morte (da parte dello stesso Fabio e anche da parte del fratello maggiore di lui, Roberto: il “capo-banda”), straniera in Italia senza un passaporto in regola, la ragazza non osa ribellarsi, scappare, chiedere aiuto, denunciare. Anche perché i due fratelli di Fabio (Roberto e Alberto, quest’ultimo detto Luca) sono a capo dell’organizzazione criminale e fanno parte della Polizia di Stato. Motivo per il quale gli spietati assassini riescono sempre a farla franca sfuggendo a controlli, pattuglie, operazioni delle forze dell’ordine. Per colpa loro e di indagini sbagliate, nel corso di 7 anni sanguinosi pagano altri comuni delinquenti che finiscono da innocenti dietro le sbarre.

C’è di più: Fabio Savi dice ad Eva (portandola nel frattempo a conoscenza di molti dettagli su tutte le azioni di sangue che compie con i suoi fratelli) che della banda fanno parte molte più persone e che loro sono collegati ad una organizzazione più grande, hanno contatti con i servizi segreti.

E’ un incubo che va avanti fino a quando la coraggiosa Eva decide di rompere il silenzio e raccontare tutto ad un suo amico: un giornalista ungherese che ha conosciuto per caso durante un breve ritorno a Budapest e che si chiama Laszlo Posztobanyi. La Mikula gli segnala i fratelli Savi ma nel timore di non essere creduta inventa – pur facendo esplicitamente il nome dei Savi – di essere finita nelle mani di una organizzazione italiana di sfruttatori della prostituzione che si arricchisce con le ragazze dell’Est Europa, uccidendole e facendone sparire i corpi se le loro “lucciole” commettono un errore.

E’ sulla base di questa rivelazione che Posztobanyi – un giornalista con molti contatti, specialmente per quanto riguarda gli ambienti di Polizia – fa mettere in moto la macchina della Giustizia e le autorità investigative internazionali (l’equivalente della Direzione investigativa antimafia in Italia) ed è sulla base della testimonianza di Eva Mikula che parte la caccia ai fratelli Savi, ritenuti in quel momento sfruttatori ed assassini di prostitute straniere.

La Polizia italiana arresta Fabio e Roberto Savi nel novembre 1994: il primo stava cercando di scappare fuori dell’Italia trascinando con se la Mikula, il secondo aveva appena preso servizio alla Questura centrale di Bologna.

Gli investigatori italiani e la magistratura italiana non sanno che gli arrestati sono i famosi componenti della banda della Uno bianca: sarà proprio Eva Mikula a rivelarlo agli stessi, riempendo pagine e pagine di verbale per cinque ore di fila durante una notte interminabile di interrogatorio.

Non solo: grazie ad Eva Mikula vengono ricostruite tutte le azioni criminali della banda, vengono scoperti i nomi degli altri componenti del gruppo (tutti agenti in servizio alla Polizia di Stato di Bologna, di Rimini, di Cesena: Marino Occhipinti, Pietro Gugliotta, Luca Vallicelli), viene dimostrata l’innocenza di tutti i malavitosi ritenuti fino a quel momento responsabili delle gesta sanguinarie compiute dai Savi e dai loro complici. La testimonianza di Eva Mikula aiuta lo Stato a cancellare 7 anni di errori, di piste sbagliate e permette di assicurare alla Giustizia i veri colpevoli.

Dopo essere stata sottoposta ad un programma di protezione-testimoni per mesi (con tutte le conseguenze del caso) Eva paga per questo suo coraggio e per aver servito la giustizia: i mass media la dipingono come una “dark lady”, il Sismi ed il Sisde (il servizio segreto italiano: militare e civile) costruiscono falsi dossier per attribuirle una doppia vita e persino una falsa età (infilandoci dentro: relazioni con alti militari, spionaggio internazionale), saltano fuori finti testimoni che dicono (mentendo) di averla vista in un night club a Budapest o di averla vista presente durante alcune delle azioni criminali della Uno bianca, gli stessi Savi (dopo aver ammesso i propri crimini) la chiamano in causa accusandola di essere stata la loro complice – talvolta la loro autista – la “cassiera” del gruppo, viene incriminata e processata per reati che non ha commesso (infiniti dibattimenti giudiziari dai quali è uscita assolta e dunque discolpata senza dubbio alcuno).

Evidentemente a molti non è andato giù che una comune cittadina ha sconfessato sette anni di errori grossolani da parte di Polizia e magistratura consentendo allo Stato italiano di individuare, arrestare, processare, condannare i rapinatori-assassini della Uno bianca.

Purtroppo neanche l’associazione dei familiari delle vittime del gruppo criminale Savi ha creduto alla estraneità della coraggiosa Eva Mikula in relazione alla banda della Uno bianca: una lettera a cuore aperto scritta da Eva ed inviata dalla stessa – recentemente – ai parenti delle vittime non è stata bene accolta. Anzi ha ottenuto sfortunatamente l’effetto contrario.

Oggi Eva Mikula è una splendida cinquantenne, ha cambiato completamente vita, ha raggiunto buoni traguardi professionali ed opera nel settore immobiliare tra Roma e Londra, è madre di due splendidi ragazzi (una femmina ed un maschio), è impegnata nel contrasto alla violenza sulle donne e si è perfettamente integrata nella società italiana ma molti – ancora dopo 30 anni – continuano ad attribuirle una “etichetta”, un “marchio d’infamia” che assolutamente non merita.

Eva Mikula è stata una donna-coraggio: è stata un eroe. Con straordinaria forza interiore, con un grande senso del dovere e con l’assoluta intenzione di aiutare la Giustizia ha fatto arrestare dei pericolosi assassini, ha posto fine ad una lunga scia di sangue e ha salvato altre vite umane innocenti (se non fosse stato per lei certamente i Savi avrebbero continuato a seminare sangue, morte, violenza tra le Marche e l’Emilia Romagna: forti del senso d’impunità, della condanna di finti colpevoli accusati al posto loro, del silenzio di testimoni diretti impauriti. Tra questi ultimi anche la moglie di Roberto Savi: contro di lei, curiosamente, non c’è stato quel killeraggio mediatico scaricato con furia sulla sola Eva Mikula).

Malgrado ciò è stata dimenticata da tutti, “scaricata” dallo Stato dopo essere stata spremuta come un limone finchè ha fatto comodo come testimone d’accusa nei processi a carico dei Savi, processata (infine assolta) dalla stessa magistratura che ha aiutato a rischio della propria vita, ieri ed ancora oggi rifiutata come una “appestata” da tanti.

La sua unica colpa è stata quella di aver sconfessato la macchina italiana della Giustizia e di essere stata la testimone-chiave della reale verità (quella storica) sulla cattura della banda della Uno bianca: ben diversa, sul punto, dalla verità mediatica e soprattutto da quella giudiziaria.

Confido nel fatto che tanti leggano “Vuoto a perdere. Verità nascoste sulla banda della Uno bianca”, il libro (scritto dalla stessa Eva Mikula) che ricostruisce dettagliatamente questa drammatica storia (la cui pubblicazione – nell’inverno del 2021 – è stata possibile grazie all’impegno e all’aiuto di un coraggioso giornalista, Marco Gregoretti): è un viaggio nella verità (quella che non troverete nei giornali, in televisione, negli atti processuali) ma soprattutto è un viaggio (appassionante, toccante) nel cuore, nelle emozioni, nei valori interiori di una donna eccezionale che con il suo esemplare gesto ha onorato perfettamente quanto diceva il magistrato Paolo Borsellino (“L’importante è che insieme alla paura ci sia anche il coraggio”). Un libro sulla persona Eva Mikula: non sul personaggio male raccontato dai mass media e vittima di perenni pregiudizi dentro come fuori il sistema mediatico.

Eva ha combattuto contro tanti lupi cattivi e proprio come Cappuccetto rosso nella nota fiaba è il simbolo dell’innocenza in una società sporca che ha consentito, troppo a lungo, a pericolosi criminali di restare impuniti e di mietere vittime su vittime. Una fallacia spaventosa nella macchina della Giustizia – durata ben 7 anni e segnata anche da numerosi depistaggi, da elementi importanti dolosamente o colposamente trascurati, dalla comparsa di sigle inquietanti come quella della Falange armata – che lascia aperti tanti interrogativi ai quali, presto o tardi, qualcuno dovrà dare una riposta chiara, definitiva, convincente. Le indagini sono state riaperte da poco per fare chiarezza in proposito e anche i familiari delle vittime vogliono arrivare fino in fondo, convinti che i colpevoli non erano solo rapinatori-assassini.

Da tutto quest’incubo  e da tutte le disavventure giudiziarie (immeritate) che ha subìto Eva Mikula ne è uscita vittoriosa e ne è uscita da innocente, a testa alta. Lo Stato italiano, invece, ha ancora davanti a sé una strada lunga da percorrere: bisogna scoprire se quelli della Uno bianca erano comuni criminali che agivano come fossero dei terroristi (come hanno sempre dichiarato gli stessi colpevoli e reo-confessi: mossi dall’avidità del denaro e dalla loro metà oscura) oppure se erano dei terroristi che agivano come fossero dei comuni criminali (in tal caso manovrati da “entità esterne” per condurre una nuova forma di Strategia della tensione nella storica regione-rossa dell’Emilia Romagna: i nostri servizi segreti? Ambienti ed apparati dell’estrema destra eversiva? Roberto Savi aveva militato, da ragazzo, nell’organizzazione politica neofascista Fronte della gioventù).

Eva Mikula si è fatta avanti, ha raccontato agli investigatori tutto ciò che sapeva e, con grande onore, ha fatto il suo dovere di cittadino. Adesso tocca ad altri seguire il suo valoroso esempio.

Daniele Spisso

Un commento

  1. Mi è sembrato di incappare in una azione di marketing al fine di promuovere il libro. Ma si, facciamo della signora una eroina e screditiamo il lavoro fatto dalla nostra polizia. La signora ha avuto il suo tornaconto ma, soprattutto, non poteva fare altrimenti. Non confondiamo la furbizia con la coscienza, grazie.

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