Scienza e Diritto. Viaggio nella Psicologia giuridica e nei cold case più noti con la Professoressa Laura Volpini, attraverso il suo libro “Il prisma – storie di omicidio e dintorni” (seconda parte)

-Oggi la cronaca giudiziaria è molto più presente – rispetto a ieri – all’interno del circuito mediatico televisivo. C’è una differenza importante tra ieri e oggi: prima le trasmissioni televisive intervenivano abitualmente quando un iter giudiziario era concluso e davano voce esclusivamente agli addetti ai lavori di un processo; oggi le trasmissioni televisive intervengono quando un iter giudiziario è ancora aperto (se non già durante le indagini preliminari), sposano o la linea colpevolista o la linea innocentista, si basano poco o nulla sulla documentazione processuale, molte volte se non sempre danno voce ai non addetti ai lavori. Perché, ora, accade tutto questo a parer suo? Perché ora tutto ciò accade in questo modo a parer suo?

A partire dal caso di Cogne in Italia abbiamo assistito ad un cambiamento nel modo fare cronaca. Soprattutto quando hanno preso piede fatti legati a delitti di prossimità, rispetto a ciò che ha investito la cronaca per decenni (stragi terroristiche, fatti di mafia). Ad esempio, nel caso Franzoni c’è stato un uso attivo da parte del suo avvocato prima e della stessa signora Franzoni poi, dei media, per persuadere rispetto alla propria linea difensiva. Da lì in poi abbiamo assistito a un numero crescente di talk show centrati sui delitti, dove molto spesso le persone si dividono tra innocentisti e colpevolisti. In queste trasmissioni si cerca di fare una sorta di processo, con pochi elementi e talvolta a prescindere dagli atti processuali veri e propri (tra l’altro durante la fase delle indagini preliminari gli atti processuali sono coperti dal segreto istruttorio). Per quanto riguarda gli esperti in Psicologia giuridica esiste anche una deontologia che non consente di fare dichiarazioni in fase di indagini preliminari se si è periti del giudice. Nel momento in cui si fanno dichiarazioni è importante basarsi su aspetti metodologici. Le dichiarazioni rese come consulenti di parte, debbono avere il consenso del proprio assistito, mantenendo una grande attenzione a ciò che si dice per evitare di danneggiare la parte. Tutto questo non sempre accade, inoltre il codice deontologico ci dice che nel momento in cui ci esprimiamo su fatti di cui non siamo a diretta conoscenza possiamo attenerci solo a delle opinioni  molto generali. Si può lasciare al pubblico, allo spettatore, la possibilità di ipotizzare chi è colpevole o innocente, non a chi svolge un ruolo professionale dentro il processo o dentro una trasmissione televisiva. Per coloro che sono Psicologi giuridici o Criminologi forensi sarebbe bene astenersi in tv dal dare giudizi di colpevolezza o di innocenza rispetto alle persone. Limitarsi alla teoria e ai metodi, ed evitare di entrare nel merito, se non si conoscono le carte.

-Per quello che Lei sa quali sono le principali differenze tra il settore forense in Italia e il settore forense negli Stati Uniti d’America? In Italia esiste un albo dei consulenti e dei periti? Le specializzazioni forensi vengono valorizzate in Italia?

Negli Stati Uniti d’America l’esperto che deve testimoniare in udienza, al dibattimento viene valutato preliminarmente, rispetto al suo curriculum e rispetto alla specifica exspertise. L’esperto deve dimostrare di aver fatto pubblicazioni scientifiche nell’ambito del settore in cui sarà interrogato. Negli Usa l’esperto deve, nella sua testimonianza, dare garanzia che le sue conclusioni si basino su metodi accreditati dalla Comunità scientifica (sentenze Daubert e Frye). Il sistema processuale italiano è, invece, meno rigoroso. Non c’è questo tipo di valutazione dell’esperto e delle sue metodologie. Soprattutto nell’ambito della Criminologia e della Psicologia forense. Esiste ovviamente in Italia l’albo dei periti presso i Tribunali, ma il giudice può scegliere chiunque come proprio ausiliario. Quindi non sempre le nomine attingono da questo elenco. In Italia si potrebbe valorizzare di più l’esperto nell’ambito criminologico-forense, soprattutto per quanto riguarda le indagini preliminari. Mentre negli Usa queste figure sono molto valorizzate e intervengono subito, in Italia dobbiamo riferirci soprattutto alla Scientifica della Polizia e dei Carabinieri: i settori specialistici che operano sulla scena del crimine. In Italia l’esperto di Criminologia forense o di Psicologia giuridica interviene successivamente e mai nell’immediatezza, nominato dalla Procura, dall’indagato o dalla parte civile nell’ambito delle indagini preliminari.

-Nel momento in cui si crea un contrasto in Tribunale tra una consulenza ed una perizia c’è il rischio di una scelta sbagliata da parte del giudice? Dal momento che il giudice non è preparato in materia di Scienze forensi.

Spesso, anche nei processi in Corte d’Assise, intervengono i consulenti del PM – della parte civile – della difesa: la Corte deve fare un bilancio ragionato delle prove portate da tutte le parti processuali. Questo, ovviamente, è un lavoro molto complesso che richiede anche una certa formazione dei magistrati in questo settore. Esistono delle sentenze della Cassazione che hanno regolato la valutazione delle Scienze forensi nell’ambito processuale. Solitamente i giudici si avvalgono di solito dei periti per colmare il gap che c’è tra la loro competenza e una competenza scientifica applicata ad un crimine.

-Alla prefazione del suo libro ha partecipato anche il Dott. Luciano Garofano, ex comandante della sezione parmense del reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri (Ris). Come è stato in questi anni il vostro rapporto di collaborazione professionale?

Il nostro rapporto di collaborazione nasce nel 2005 in occasione del caso Franzoni quando il Dott. Garofano era Tenente Colonnello dei Carabinieri (successivamente fu nominato Generale dell’Arma). Il suo compito fu quello di portare al processo tutte le prove scientifiche acquisite sulla scena del crimine dal Ris (Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri) all’epoca da lui diretto per la sezione di Parma, come lo studio della distribuzione delle macchie di sangue nella stanza del delitto. Io ero ausiliario del collegio peritale che si è occupato della perizia psichiatrica della signora Franzoni. Da quel momento abbiamo iniziato a collaborare anche nell’ambito formativo;  il Generale Garofano è stato ospite dei master che ho condotto all’Università in questo settore ed io ospite presso le Università dove lui ha insegnato. Abbiamo condotto insieme anche alcuni corsi di formazione per  giornalisti, oltre a diversi convegni. Ci ha accomunato anche l’esperienza  dell’American Academy of Forensic Sciences (AAFS) ; il più grande meeting annuale su questo tema, che frequento dal 2008 e di cui sono membro ordinario.  E’ un’occasione per scambiare esperienze con i colleghi americani e con colleghi che vengono da tutto il mondo e per presentare lavori scientifici. Con il Generale  Garofano abbiamo collaborato in diversi casi, come il delitto Basile (citato nel libro) dove la presunta testimone era una bambina di 5 anni. Assieme al Medico legale lui  si è occupato della dinamica delittuosa, io ho analizzato le dinamiche dell’interrogatorio della minore. Eravamo per la difesa, in quel caso. Abbiamo seguito insieme – per la parte civile – in Corte d’Assise d’appello il caso della povera Simonetta Cesaroni. Garofano se ne era occupato già in primo grado come consulente del PM. Abbiamo lavorato insieme anche sul caso Serena Mollicone e attendiamo le motivazioni della sentenza di primo grado. Stiamo collaborando anche al caso della morte di Mario Biondo, finalmente riconosciuta come un omicidio e non come un suicidio.

A cura di Daniele Spisso

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