-Lei si è occupata – tra i tanti – di tre casi molto importanti per il nostro Paese e che hanno colpito molto l’opinione pubblica: il delitto di Samuele Lorenzi, il delitto di Serena Mollicone, il delitto di Simonetta Cesaroni. Partiamo dal delitto Lorenzi: crede che Annamaria Franzoni ha rimosso il crimine dalla sua mente dopo averlo compiuto, al punto di convincersi di non averlo commesso?
Dalla ricostruzione del funzionamento psicologico della signora Franzoni possiamo dire che lei ha messo in atto dei massicci meccanismi di difesa come la negazione e la identificazione proiettiva, che significa sottrarsi alla responsabilità dell’azione, ma avendo chiaro nella propria mente, ciò che si è commesso. La Corte d’Assise d’appello di Torino riportò nelle motivazioni della sentenza tra gli altri aspetti, una frase della signora Franzoni intercettata; in cui lei diceva al marito, di essere convinta che l’assassino fosse la vicina di casa, la signora Ferrod (che poi l’ha querelata per calunnia). Disse al marito che secondo lei, la vicina era entrata in casa, aveva cercato Samuele in cucina, non trovandolo era andata in camera, si era avvicinata a lui, gli aveva detto qualcosa spaventandolo, e poi lo aveva colpito “fino a vedergli tutto il sangue”. Questa scena – che cito anche nel libro – di fatto è stata considerata come una scena di vivida testimonianza, più che di un’ipotesi fantasiosa. Quindi la signora Franzoni è consapevole da una parte di aver commesso il delitto, ma attraverso questi potenti meccanismi di difesa non lo ha confessato e si è dichiarata estranea; per salvaguardare la sua identità, la sua integrità psichica, la sua famiglia.
-Generalmente qual è il meccanismo psicologico che scatta – dopo il fatto di sangue – in chi commette un omicidio per un raptus improvviso?
Il raptus non è un concetto scientifico. I delitti d’impeto, come nel caso della signora Franzoni, riguardano rancori, astio, ruminazione, ostilità. L’azione può essere non premeditata, ma è stata sicuramente maturata nel tempo, dalla persona che poi commette il delitto. Per la vicenda del piccolo Samuele Lorenzi la madre Annamaria non accettava le sue condizioni fisiche: riteneva che il bambino avesse la testa grande e il corpo piccolo. In realtà il piccolo Samuele aveva queste caratteristiche semplicemente per un problema di allergia alimentare, che ne rallentavano un po’ lo sviluppo fisico, non perché non fosse un bambino sano. Samuele in realtà, non rispecchiava le sue aspettative di madre, evidenziando un problema narcisistico di personalità.
-Il processo Serena Mollicone: ci può illustrare in sintesi gli elementi di prova raccolti con l’ultima indagine e portati al processo?
Con Garofano ce ne stiamo occupando dal 2009 per volere del povero Guglielmo Mollicone e adesso per conto del fratello; Antonio Mollicone. Gli elementi di prova sono stati molto significativi a mio avviso, pensando che il delitto è avvenuto oltre 21 anni fa. Un elemento fondamentale è stato quello prodotto in aula dalla Professoressa Cattaneo (noto Medico legale di fama nazionale e internazionale), la quale ha dimostrato la piena compatibilità tra la circonferenza del cranio della povera Serena Mollicone con l’ammacco della porta dell’appartamento in uso alla famiglia Mottola. Erano presenti sul cranio della povera ragazza dei frammenti di legno compatibili con la stessa porta. L’analisi dell’interrogatorio reso da Santino Tuzzi, ha chiaramente evidenziato quanto la sua prima versione fosse la più spontanea e vera. Dichiarò di aver ricevuto dall’interfono una chiamata nella quale gli si diceva che aspettavano una persona e che doveva farla passare: questa persona era appunto Serena Mollicone. Per cui i due elementi più importanti riguardano l’ aspetto medico-legale, la testimonianza di Santino Tuzzi e altre testimonianze a corroborazione della presenza di Serena in caserma il giorno della sua scomparsa. Come consulenti di parte civile abbiamo utilizzato assieme al professor Gianni Acampora e alla dottoressa Autilia Vitiello, esperti di statistica, dell’Università di Napoli, il metodo delle reti baysiane (per mettere insieme tutti gli elementi scientifici emersi nel processo) in modo da verificare: 1) la probabilità che Serena Mollicone fosse entrata in caserma quel giorno; 2) la probabilità che fosse stata aggredita in caserma; 3) la probabilità che fosse aggredita in caserma con una porta. I risultati della nostra valutazione, attraverso questo metodo matematico utilizzato in ambito legale, soprattutto negli Stati Uniti d’America (ma sta prendendo piede anche in Italia) sono stati che : 1) al 99,00%, Serena era in caserma il giorno della morte, 2) è stata aggredita in caserma al 98%, 3) ed è stata aggredita con la porta in caserma al 97% circa. Quindi i nostri risultati, avrebbero dovuto aiutare la Corte d’Assise nel bilanciare le prove scientifiche e testimoniali del processo, che andavano nella direzione dell’omicidio consumato in quell’ambito.
-Come giudica la sentenza di primo grado?
La sentenza di primo grado ci ha piuttosto spiazzato, anche perché non ci sono stati grossi elementi a discolpa degli imputati (la famiglia Mottola). Vedremo adesso le motivazioni che saranno depositate a ottobre. Ci auguriamo che in Appello gli elementi scientifici siano maggiormente valorizzati e che sia fatta giustizia per questa povera ragazza e per la sua famiglia.
A cura di Daniele Spisso