All’interno della parrocchia “Santi Alfonso M. De’ Liguori e San Gerardo” a Miano, è nata su iniziativa del parroco don Salvatore Cinque e con il supporto dei collaboratori della parrocchia, un progetto intitolato “ ’Ngopp a Masseria” che, attraverso laboratori di cucina tradizionale napoletana, aiuta i ragazzi con difficoltà relazionali di diverso tipo, a recuperare un contatto con la realtà. Abbiamo parlato con don Salvatore per saperne di più.
Com’è nato il progetto?
«L’iniziativa è nata ascoltando le storie di vita dei ragazzi, dalle notizie che si sentono al tg e dalla nostra premura verso alcune situazioni particolari: ci siamo interessati soprattutto a tutti quei giovani che trascorrono le loro giornate chiusi in casa, davanti ai videogiochi, senza contatti sociali e che vengono definiti con il termine giapponese “Hikikomori”. Sul territorio abbiamo notato che ce ne sono tanti, così ho incontrato le mamme di alcuni ragazzi che stavano vivendo questa situazione e ci siamo confrontati: il fenomeno è aumentato soprattutto dopo il lockdown. Ho incontrato poi anche tante mamme con figli autistici e abbiamo coinvolto anche loro in questo progetto: ci siamo domandati quale fosse il laboratorio migliore da poter organizzare e ci è stato suggerito, proprio dai genitori, di intraprendere attività manuali che potessero favorire il contatto con la realtà».
Come funziona il progetto?
«Il progetto si chiama “’Ngopp a masseria”, perché anticamente proprio dov’è situata la parrocchia, c’era una masseria e basandoci su questa tradizione contadina del villaggio di Miano, abbiamo strutturato questi laboratori che recuperano le tradizioni culinarie napoletane. Abbiamo cominciato i laboratori d’impasto per preparare il pane, il laboratorio per preparare le pizze e abbiamo affiancato a questi un altro laboratorio che si occupa delle conserve dei pomodori. A breve partiranno i laboratori per le conserve delle marmellate e dei liquori.
Il progetto è totalmente autofinanziato dalla parrocchia, ogni attività si svolge infatti all’interno dei locali parrocchiali e ci sono alcune persone proprio della comunità, ma anche le mamme dei ragazzi, che si sono offerte di tenere questi laboratori: in particolare per il laboratorio delle pizze, un ragazzo della parrocchia, ha offerto il proprio piccolo forno elettrico. A questo progetto però partecipano anche ragazzi che non vivono queste difficoltà di relazione, ma a cui piacciono semplicemente le attività che facciamo. La fascia di età che abbraccia è molto varia, non abbiamo limiti, perché lo scopo è aiutare questi ragazzi ad uscire dalle proprie case e tenersi occupati.
I laboratori non sono sempre gli stessi, dipendono dalle esigenze e dal periodo: a settembre ci siamo occupati della conserva dei pomodori. A breve partiremo con il laboratorio delle pizze: per circa un mese, i ragazzi si eserciteranno a fare l’impasto e, quando saranno pronti, organizzeremo una serata, all’interno della parrocchia, dove si potranno mangiare le pizze cucinate proprio da chi partecipa a questi laboratori. A novembre, abbiamo pensato di organizzare il laboratorio per imparare a preparare i torroni o anche altre conserve. La durata di ogni attività dipende da come rispondono i ragazzi: quando l’obiettivo viene raggiunto da tutti, cambiamo laboratorio».
Qual è la risposta da parte dei ragazzi?
«I ragazzi sono circa 10 al momento e noto un certo entusiasmo da parte loro, perché finalmente riescono ad uscire di casa e ad avere un contatto con la realtà, seppur graduale. Ci vuole molta pazienza e attenzione. Importantissimo è il supporto delle mamme che, preoccupate per i ragazzi, sono contente di queste attività e spingono i loro figli a partecipare».
Come si può partecipare a questi laboratori?
«Chi sta vivendo situazioni difficili, può rivolgersi direttamente a me o andare in parrocchia dove le mamme dei ragazzi che partecipano ai laboratori, accoglieranno le richieste».
a cura di Sara Finamore