“ Nunzia e Barbara, il delitto di Ponticelli – 2 luglio 1983. Le accuse di Carmine Mastrillo contro gli innocenti Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca. Dopo 40 anni è arrivato il momento di scoprire l’identità di Gino/Tarzan tutte lentiggini e di riabilitare i tre condannati con una revisione processuale “

Carmine Mastrillo è un giovane che vive nel rione Incis di Ponticelli. E’ cresciuto in una famiglia numerosa (padre, madre, 10 figli) e povera: possiede la licenza elementare, all’età di 8 anni ha perso la gamba sinistra a causa di un incidente, è disoccupato, passa la maggior parte del suo tempo in strada. Frequenta un gruppo di suoi coetanei che sono soliti riunirsi con le auto nei pressi di via Louis Armstrong, dove vivono e abitano le piccole Nunzia Munizzi (10 anni) e Barbara Sellini (7 anni). La sorella di Carmine, Antonella Mastrillo (10 anni), frequenta la stessa scuola di Nunzia e Barbara (il 77esimo circolo didattico di Ponticelli – scuola Aldo Moro) ed è (assieme a Giovanni Sellini, 10 anni, il fratello di Barbara) nella stessa classe di Nunzia.

Dopo la scoperta dell’orrendo omicidio di Nunzia e Barbara gli inquirenti setacciano da cima a fondo il rione Incis di Ponticelli: gli abitanti della zona (inclusi i bambini, gli amici e le amiche delle giovanissime vittime, i “tipi strani” che sono sulla bocca di tutti per episodi di molestie) vengono convocati e interrogati. Anche più di una volta al giorno, sia dalla Polizia che dai Carabinieri (il cui lavoro viene svolto in reciproca autonomia).

Anche Carmine Mastrillo viene interrogato nel momento in cui si scopre che è interno ad un gruppo di ragazzi del quale fa parte Vincenzo Esposito: un ventenne che la sera del 1° luglio 1983 (24 ore prima del duplice omicidio delle bimbe) viene visto da tale Ernestino Anzovino parlare con Nunzia e Barbara nel rione Incis di Ponticelli vicino all’abitazione delle piccole Munizzi e Sellini.

Vincenzo Esposito – una volta escusso dagli investigatori – nega tale circostanza poi è costretto ad ammetterla. Per il giorno del delitto (2 luglio 1983) fornisce un alibi falso perché dichiara che è stato ad Avezzano (frazione di Sessa Aurunca-Caserta) a cogliere insalata: viene smentito dai suoi datori di lavoro (i fratelli Antonio e Pasquale Nappa), da un suo collega (Luigi Petrazzuoli). Vincenzo Esposito conosce il luogo in cui (alle 22:30 del 2 luglio – tre ore dopo l’omicidio) l’assassino ha abbandonato e dato alle fiamme i cadaveri di Nunzia e Barbara (alveo Pollena – tra via Meuricoffre e via Argine, frazione Caravita, periferia di Cercola) perché in quello stesso posto suo fratello, Pasquale, organizza le corse clandestine dei cavalli. Vincenzo Esposito ha un altro fratello – di nome Luigi – e nella disponibilità della famiglia (quindi sua e di Luigi) c’è una Fiat 500 blu scuro targata Na D50232 (le indagini accertarono che Nunzia e Barbara si recarono, la sera in cui furono uccise, ad un appuntamento. Ad aspettarle davanti la pizzeria la Siesta di Ponticelli vi era un giovane a bordo di una Fiat 500 scura. Questo giovane aveva dato alle due bimbe un nome abbreviato: Gino. Gino è l’abbreviativo del nome completo Luigi. Barbara Sellini lo aveva sopranominato Tarzan tutte lentiggini. A veder salire Nunzia e Barbara sulla Fiat 500 scura di tale Gino, la sera del delitto e davanti la pizzeria La Siesta di Ponticelli alle ore 19:00-19:10, erano stati due testimoni casuali: un amico delle bimbe uccise e soprattutto Antonella Mastrillo, sorella di Carmine e compagna di classe a scuola di Nunzia Munizzi. Antonella lo rivela ad un suo conoscente, tale Paolo Carrabba, e poi alla stessa madre di Barbara Sellini, Mirella Grotta. Successivamente, su pressione della propria mamma, Antonella Mastrillo cambia in parte la sua versione dei fatti dicendo di non aver visto nessuna Fiat 500 scura in attesa di Nunzia e Barbara davanti alla pizzeria la Siesta). Interrogato nel 1983 Vincenzo Esposito dichiarò a verbale (documento in fondo al quale c’è la sua firma autografa) che questa Fiat 500 era ancora nella disponibilità della sua famiglia al luglio di quell’anno; intervistato dal programma tv le Iene 40 anni dopo si è contraddetto sostenendo che tale vettura non era più nella disponibilità della sua famiglia al luglio 1983. Intervistato dal programma tv le Iene 40 anni dopo i fatti Vincenzo Esposito afferma che niente di quanto è scritto nei suoi verbali d’interrogatorio (allude ad alcuni elementi di sospetto sul suo conto) è vero, aggiungendo di essere stato maltrattato durante gli stessi interrogatori. In primo momento alcune fonti confidenziali riferirono al maresciallo dei Carabinieri in servizio presso la caserma Pastrengo di Napoli, Mastroianni, che Vincenzo Esposito era il Tarzan conosciuto da Nunzia e Barbara (lo riporta la sentenza del 1986 sul processo per il delitto Munizzi-Sellini – Corte d’Assise di Napoli).

Posto dinanzi a questi elementi di sospetto Vincenzo Esposito dichiara che non era il solo a parlare con Nunzia e Barbara la sera del 1° luglio: dice che con lui vi era suo cognato (Antonio De Angelis), vi erano Luigi Schiavo-Giuseppe La Rocca-Salvatore La Rocca fratello di Giuseppe, vi era Carmine Mastrillo (amico di Luigi Schiavo e dei fratelli La Rocca). Cita anche un giovane di s. Giorgio a Cremano (Tonino Imperante, poi si corregge facendo il nome di Ciro Imperante fratello di Tonino ed amico dei fratelli La Rocca nonché di Luigi Schiavo). Successivamente parla di una Fiat 500 blu scuro vista girare nel rione Incis di Ponticelli (presenta un fanale rotto ed ha sul parabrezza un cartello con sopra scritto “Vendesi”, è guidata da una persona giovane con i capelli rossicci ed i baffetti, lentigginoso. La Fiat 500 blu scuro con le caratteristiche descritte da Esposito risulterà poi essere quella di Enrico Corrado – targa Na 495190, un trentenne adescatore di minorenni della zona che per alcune settimane sarà sospettato di essere l’assassino. Di una Fiat 500 blu, vista muoversi nel rione Incis di Ponticelli la sera del 2 luglio ed a 20 metri di distanza da Nunzia e Barbara, parlò anche Luigi Anzovino, vicino di casa delle piccole Munizzi-Sellini e fratello di Ernestino Anzovino. Enrico Corrado, per sua stessa ammissione, si era recato nel rione Incis di Ponticelli la sera del delitto: affermò di essere rincasato tra le 17:30 e le 18:00, smentito dalla moglie che lo vide tornare a casa tra le 20:30 e le 21:00. Nel momento in cui Nunzia e Barbara furono abbandonate nel canalone dell’alveo Pollena e date alle fiamme, ore 22:30, lui era a casa: lo testimoniò sua moglie) e poi, come un fulmine a ciel sereno, accusa Luigi Schiavo – Giuseppe La Rocca – Ciro Imperante di aver fissato la sera del 1° luglio 1983 un appuntamento con Nunzia e Barbara per l’indomani (2 luglio). Fa di peggio: accusa i tre ragazzi di essere degli adescatori di minorenni e di essere in possesso di un coltello (le piccole Munizzi e Sellini furono seviziate ed uccise con un coltello a serramanico, come accertò il Medico legale Prof. Alfonso Zarone con le autopsie eseguite il 4 luglio 1983. La sua relazione autoptica fu depositata il 30 luglio dello stesso anno).

L’esame delle dichiarazioni di Vincenzo Esposito contro Imperante-Schiavo-La Rocca non trova riscontri: viene indagato dalla Polizia per depistaggio con il sospetto di aver calunniato Imperante-Schiavo-La Rocca e con il sospetto di aver voluto coprire l’assassino di Nunzia e Barbara in quanto (secondo la Polizia) Vincenzo Esposito potrebbe essere coinvolto nel duplice delitto oppure potrebbe essere a conoscenza di informazioni in relazione allo stesso fatto di sangue.

Sentito sui fatti del 1° luglio 1983 sera Carmine Mastrillo dichiara di non aver mai appreso di un appuntamento fissato con le piccole Munizzi e Sellini da parte di Imperante-Schiavo-La Rocca alla presenza sua e di Vincenzo Esposito. Aggiunge di non sapere assolutamente nulla sul duplice delitto e non rilascia nessuna dichiarazione contro Imperante-Schiavo-La Rocca. Poi dice una cosa inquietante: dichiara di aver parlato con due bambine di Ponticelli e di aver appreso dalle stesse, nell’agosto 1983 (un mese dopo il delitto), che è stato Vincenzo Esposito a dare un appuntamento a Nunzia e Barbara per la sera del 2 luglio. Secondo quanto gli hanno riferito le due bambine-testimoni Vincenzo Esposito conosce il nome dell’assassino. Carmine Mastrillo precisa di aver taciuto fino a quel momento questo racconto perché ha paura di Vincenzo Esposito. Successivamente ritratta e dichiara di aver inventato questo episodio dell’agosto 1983 da lui stesso riferito.

Passa un mese: da pochi giorni il Presidente della Repubblica Sandro Pertini (al quale ha scritto la madre di Barbara Sellini, Mirella Grotta, rivolgendogli un appello) ha invitato le forze dell’ordine di Napoli a fare tutto il possibile per assicurare alla giustizia l’assassino di Nunzia e Barbara (l’orrendo crimine ha sconvolto la città, la Regione, tutta l’Italia). Il messaggio di Pertini è chiaro: bisogna evitare che il caso finisca archiviato senza colpevole.

D’improvviso, a inizio settembre del 1983, Carmine Mastrillo cambia versione dei fatti e (come aveva già fatto con dichiarazioni infondate Vincenzo Esposito) accusa esplicitamente Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca dell’assassinio di Nunzia e Barbara. Diventando così un testimone a loro carico.

Il suo racconto (reso alla presenza dei Carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli e del Giudice istruttore Arcibaldo Miller): la sera di sabato 2 luglio 1983 Nunzia e Barbara (dopo aver preso con i tre ragazzi un appuntamento la sera prima, venerdì 1° luglio) salgono sulla Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca. Nella vettura ci sono anche Luigi Schiavo e Ciro Imperante. I giovani le portano in un’area rurale che fa parte del fondo agricolo Busiello, situato tra Volla e Cercola e raggiungibile dopo aver attraverso il centro urbano di Volla (per l’esattezza: via Rossi). Una volta giunti sul posto Ciro Imperante ha fatto da “palo”; Luigi Schiavo violenta Nunzia Munizzi; Giuseppe La Rocca violenta Barbara Sellini. La piccola Barbara ha una emorragia e inizia a perdere molto sangue: i tre si spaventano e per evitare di lasciare in vita due testimoni Giuseppe La Rocca le uccide. Prima colpisce a morte Nunzia, poi Barbara. Adopera un ferro trovato casualmente nel fondo Busiello. Dopo di ciò, Imperante-Schiavo-La Rocca si recano dal fratello di Giuseppe (Salvatore La Rocca, in quel momento a Ponticelli in casa della sua fidanzata Vincenza Nocella), gli raccontano quanto è successo, gli chiedono aiuto. Salvatore accetta di essere loro complice: prende la sua Fiat 127 beige e segue la Fiat 500 bianca con i ragazzi a bordo. Tornano nel fondo Busiello, prelevano i corpi, li caricano sulla Fiat 127 beige di Salvatore La Rocca. I quattro portano i due cadaveri nell’alveo del Pollena, alla periferia rurale di Cercola-via Argine, li abbandonano nello stesso e li bruciano usando della benzina prelevata (con un tubo) dal serbatoio della Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca. A cose fatte (nel racconto di Mastrillo sono le ore 20:30) i quattro si recano presso la discoteca Eco Club di Volla, chiamano Carmine Mastrillo lì presente (quella sera c’era un’ultima festa precedente la chiusura del locale), lo fanno salire sulla Fiat 500 bianca e gli raccontano tutto ciò che hanno fatto. Ciro Imperante minaccia Carmine Mastrillo: se lo rivelerà ad altri o alla Polizia loro lo uccideranno.

Sulla base di queste dichiarazioni Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca, Salvatore La Rocca vengono arrestati. I primi tre per duplice omicidio e violenza carnale, l’ultimo per favoreggiamento. E’ il 5 settembre 1983. Vengono dati in pasto alla stampa e alla televisione come i “mostri di Ponticelli”, senza il beneficio del dubbio.

Il racconto di Carmine Mastrillo è pieno di falsità ed è totalmente infondato, per vari motivi:

-E’ impossibile stare comodi dentro una Fiat 500 se si è in 5 (Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca, Nunzia Munizzi, Barbara Sellini) o addirittura in 6 (Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca, Salvatore La Rocca, Carmine Mastrillo)

-Antonella Mastrillo, la sorella di Carmine, vide salire Nunzia e Barbara non a bordo di una Fiat 500 bianca ma a bordo di una Fiat 500 scura. Anche un’altra testimone chiave del caso (Silvana Sasso, 9 anni, amica e vicina di casa di Barbara Sellini) disse che il Gino conosciuto dalle piccole Munizzi e Sellini (soprannominato Tarzan tutte lentiggini) possedeva una Fiat 500 scura (Silvana Sasso precisò: verde scuro). Inoltre né Ciro Imperante, né Luigi Schiavo, né Giuseppe La Rocca assomigliavano a Gino/Tarzan tutte lentiggini così come descritto da Silvana Sasso (20 anni, robusto, capelli biondi lisci, baffetti, lentiggini, 1 metro e 75)

-Nel luglio del 1983 la Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca non poteva circolare in strada perché era ferma per un guasto meccanico: lo stesso Carmine Mastrillo disse di sapere che la Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca era ferma per un guasto meccanico nel periodo del delitto. Lo dichiarò a verbale quando fu interrogato dagli investigatori tra luglio e agosto del 1983. Infatti in quel periodo Giuseppe La Rocca si spostava utilizzando un altro mezzo di trasporto di sua proprietà: una Piaggio “Vespa”

-I proprietari del fondo Busiello restarono nella loro tenuta agricola fino a quando calò il buio, la sera 2 luglio 1983 (c’era in vigore l’ora legale – il buio calava dopo le ore 20:00): non notarono nulla di strano, non sentirono urla, non videro nulla di sospetto e nessuno. Non trovarono tracce di sangue nel loro fondo agricolo e neanche tracce di passaggio di auto e/o di persone. Non trovarono neanche erba calpestata. Per giunta il fondo Busiello era chiuso e recintato, non aperto (la recinzione fu trovata intatta)

-Nunzia e Barbara non furono uccise con un ferro ma con un coltello a serramanico (quindi il loro duplice delitto non fu casuale ma premeditato): prima di essere colpite a morte erano state aggredite con pugni sulla testa ed erano state seviziate con il coltello a serramanico che le uccise (complessivamente oltre 30 ferite da punta e taglio sui corpi di entrambe). Il crimine fa pensare perciò ad un pedofilo affetto da sadismo sessuale. Solo Nunzia fu di certo violentata (o con un congiungimento carnale o con un mezzo improprio – non furono trovate tracce di liquido seminale). Per quanto riguarda Barbara – pur interessata da ampia carbonizzazione dalla vita in giù – il Medico legale Prof. Alfonso Zarone riscontrò che indossava ancora lo slip quando fu trovata cadavere (a differenza di Nunzia che era nuda dalla vita in giù); lo slip non era sporco di sangue (esclusa quindi l’ipotesi di una emorragia, tantomeno di una copiosa emorragia). Quindi anche la dinamica del duplice delitto è completamente diversa da quella raccontata da Carmine Mastrillo

-Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca, Luigi Schiavo non erano dei pedofili, non erano stati mai protagonisti di episodi relativi a molestie-pedofilia-violenza su minorenni, non erano affetti da sadismo sessuale. Erano tre ragazzi adulti normalissimi, tre ragazzi perbene appartenenti a tre famiglie di persone perbene, onesti lavoratori (facevano gli operai – Ciro Imperante aveva un fratello poliziotto e stava per entrare a far parte della Guardia di Finanza). Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo erano fidanzati con loro coetanee

-E’ illogico pensare ad un appuntamento tra tre ragazzi adulti e tre bambine (oltre al fatto che anche la testimone Silvana Sasso smentisce questa ricostruzione con le sue rivelazioni. In quanto Nunzia e Barbara conoscevano un solo ragazzo: Gino detto Tarzan tutte lentiggini). L’appuntamento pattuito dalle due bambine con il loro assassino riguardava in realtà la sola Nunzia Munizzi: solo a lei tale Gino era interessato, in quanto con lui la piccola Munizzi giocava al fidanzamento (come rivelò, in un certo senso, la piccola Barbara Sellini alla madre Mirella Grotta pochi giorni prima del duplice delitto: “Mamma, Nunzia si è fidanzata con uno grande”). Barbara era andata all’incontro esclusivamente per non separarsi dalla sua amica del cuore Nunzia. Silvana Sasso era stata invitata (il 1° luglio) all’appuntamento del 2 luglio, da Barbara, solo perché la sua amica (la piccola Sellini) voleva che per curiosità anche lei fosse presente all’incontro con Nunzia ed il “fidanzato più grande di Nunzia” (fu la nonna, per motivi familiari, ad impedire a Silvana Sasso di uscire di casa la sera del 2 luglio. In questo modo, senza immaginarlo, le salvò la vita)

-Non vi è nessuna certezza che i corpi furono bruciati con la benzina: l’assassino poteva aver usato anche la nafta oppure l’alcool (la Polizia pensò all’alcool)

-Che motivano avevano Imperante-Schiavo-La Rocca di raccontare tutto a Carmine Mastrillo? Prima nascondono e bruciano i corpi per occultare il loro crimine e/o per cancellare le tracce del loro crimine e poi lo portano a conoscenza di una persona che non ha partecipato al fatto? Inoltre la discoteca Eco Club di Volla era affollata la sera del 2 luglio e lì Imperante-Schiavo-La Rocca erano conosciuti: nessuno li vide lì nell’orario indicato da Carmine Mastrillo a parlare con quest’ultimo

-Né all’interno della Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca né all’interno della Fiat 127 beige di Salvatore La Rocca (accuratamente ispezionate dagli investigatori) sono state trovate tracce collegate al delitto. Nella Fiat 500 bianca c’era solo un fazzoletto con sopra una traccia ematica talmente piccola da risultare quasi invisibile: si accertò che il fazzoletto era stato usato da Giuseppe La Rocca per pulire una ferita ad un piede che si era procurato sul lavoro nel montare una pesante porta

-Anche gli orari forniti da Carmine Mastrillo non tornano: alle 19:00 le due bimbe salgono sulla Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca, alle 20:30 i tre ragazzi raccontano tutto a Carmine Mastrillo. I corpi delle due bimbe sono stati abbandonati nell’alveo Pollena e dati alle fiamme tre ore dopo la scomparsa delle vittime: alle 22:30. A provarlo c’è la testimonianza di allòra di un ragazzo (Luca Miracolo, 19 anni – tornando a casa in auto con alcuni amici vide le fiamme nell’alveo Pollena la sera di sabato 2 luglio 1983: erano le ore 22:30). Difatti solo verso la mezzanotte di domenica 3 luglio gli abitanti della zona avvertirono un cattivo odore di carne umana bruciata, talmente insopportabile da doverli obbligare a chiudere le finestre delle abitazioni malgrado il caldo estivo di quella sera (lo stesso cattivo, nauseante odore fu avvertito, tra le 22:30 e le 23:00, anche in un bar sito in località Caravita che a quell’ora era ancora aperto). Non solo: per compiere tutti i movimenti ricostruiti da Carmine Mastrillo (dal momento in cui le bimbe sarebbero salite sulla Fiat 500 bianca di Giuseppe La Rocca al momento in cui i quattro ragazzi avrebbero raccontato tutto a Mastrillo passano 80 minuti: è impossibile come è stato dimostrato da un esperimento effettuato sui luoghi reali e negli stessi orari dal programma tv “Telefono giallo”, che si occupò del caso nel dicembre del 1989. Occorrevano almeno 94 minuti). Inoltre i quattro ragazzi mai si sarebbero recati alla discoteca Eco Club di Volla (dove tutti potevano vederli) con le auto ancora sporche di sangue, con gli stessi indumenti indossati per compiere il duplice delitto, percorrendo strade anche urbane (con due cadaveri a bordo per giunta) ancora affollate e ancora trafficate (era un sabato sera estivo, c’era in vigore l’ora legale)

-Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca, Salvatore La Rocca avevano un alibi per la sera del 2 luglio 1983: tra le 19:30 e le 20:00 di quella sera Ciro Imperante si recò a s. Giovanni a Teduccio (in compagnia di Aniello Schiavo, cugino di Luigi Schiavo) per ritirare una motocicletta di sua proprietà (un “Caballero 50”) che era in riparazione (per un guasto al carburatore) da un suo amico meccanico (Franco Novellino). Confermarono sia Aniello Schiavo che la famiglia Novellino. Tra le 20:00 e le 21:00 di quella sera Luigi Schiavo stette in compagnia della sua fidanzata, Rosa Irollo, e poi di un suo amico, Andrea Formisano (entrambi confermarono). Dalle 17:30 alle 19:30 di quella sera Giuseppe La Rocca era in compagnia di Daniela Nocella (sorella di Vincenza Nocella, quest’ultima era la fidanzata ed è l’attuale moglie di suo fratello Salvatore) poi, dalle 20:00 alle 20:45, fu in compagnia della sua fidanzata, Cira Piemonte detta Loredana, dalla quale si recò con la sua “Piaggio” Vespa (il racconto fu confermato anche da un vicino di casa della fidanzata di Giuseppe La Rocca. Il vicino di casa di Cira Piemonte notò che Giuseppe La Rocca era in sella alla propria “Piaggio” Vespa). Salvatore La Rocca era in casa della sua fidanzata, Vincenza Nocella (quest’ultima confermò).

Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca contestano le dichiarazioni di Carmine Mastrillo e respingono ogni accusa. Salvatore La Rocca dichiara di essere stato il loro complice ma subito dopo ritratta: è stato sottoposto a indicibile violenze e torture da parte dei carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli perché si autoaccusasse e perché accusasse gli altri. Gli stessi Ciro, Luigi, Giuseppe sono stati sottoposti a maltrattamenti fisici da parte dei carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli affinchè si autoaccusassero del crimine: a provare i danni di queste violenze (i carabinieri hanno tentato persino di occultarle cambiando gli indumenti a Giuseppe La Rocca e a Luigi Schiavo al momento dell’arresto – coprendo con una mano una traccia di sangue sulla maglietta di Luigi Schiavo) ci sono i referti medici scritti al momento del loro ingresso in carcere a Poggioreale (Napoli). La fidanzata di Salvatore La Rocca, Vincenza Nocella, dichiara che i tre ragazzi vennero da lei per chiedere aiuto a Salvatore (presente in casa di lei in quel momento) la sera del delitto ma subito dopo ritratta: è stata sottoposta a forti pressioni psicologiche da parte dei carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli affinchè accusasse Imperante-Schiavo-i fratelli La Rocca. Tutti coloro che si presentano ai carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli per confermare gli alibi dei ragazzi per la sera del delitto vengono minacciati di arresto per falsa testimonianza e favoreggiamento, maltrattati psicologicamente e fisicamente. I testimoni a favore che non si lasciarono intimidire furono difatti arrestati.

Carmine Mastrillo conferma la sua versione dei fatti fino al processo di primo grado: nel 1986, in Corte d’Assise a Napoli, ritratta tutto. Ammette che Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe e Salvatore La Rocca sono innocenti. Dichiara di averli accusati perché pressato dai carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli. A quel punto il pubblico Ministero, Dott. Giovanbattista Vignola, lo accusa di falsa testimonianza minacciandolo di arresto (all’epoca il Codice di procedura penale Rocco autorizzava l’arresto per circostanze del genere perché la ritrattazione equivaleva a falsa testimonianza): impaurito dal rischio di un arresto Carmine Mastrillo ritratta la ritrattazione e torna ad accusare gli imputati. Successivamente si giustifica dicendo di aver inizialmente ritrattato l’accusa in Tribunale perché intimorito dalle minacce ricevute dai ragazzi alla vigilia del processo (telefonate anonime, lettere anonime a dire di Carmine Mastrillo: affermazioni mai provate).

Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca vengono condannati all’ergastolo per duplice omicidio in primo (aprile 1986), secondo (ottobre 1986) e terzo grado (giugno 1987) di giudizio. Salvatore La Rocca viene condannato per favoreggiamento. Non appena la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la loro condanna i pochi reperti del delitto Munizzi-Sellini acquisiti nel 1983 e conservati fino ad allòra (giugno 1987) vengono distrutti (tra l’altro le indagini scientifiche condotte allòra sui pochi reperti acquisiti e conservati furono pessime. Se fossero stati conservati fino ai giorni nostri quegli stessi reperti avrebbero, oggi, potuto portarci, con le tracce genetiche e con un po’ di fortuna, all’identità del vero colpevole). Nel 2010, dopo 27 anni di carcere, i condannati vengono rimessi in libertà per buona condotta.

Nel 1991, nel 1999 e nel 2012 Ciro Imperante-Luigi Schiavo-Giuseppe La Rocca chiedono (assistiti tra gli altri dall’avvocato ed ex magistrato Ferdinando Imposimato, nel frattempo deceduto) la revisione processuale e (rinunciando ad un risarcimento) una riabilitazione dei loro nomi: tutte e tre le richieste vengono bocciate dai Tribunali competenti.

Perché Carmine Mastrillo ha calunniato Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca accusandoli di un crimine così orrendo e particolarmente disumano pur sapendoli innocenti? Solo perché pressato o minacciato dai carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli? Solo perché, forse, aveva del risentimento nei loro confronti per motivi personali estranei a questa storia? (Intervistato da le Iene 40 anni dopo Carmine Mastrillo ha mantenuto le sue false accuse ed ha dichiarato che i tre ragazzi lo chiamavano “lo sciancato” quando tutti insieme si frequentavano da giovani nel rione Incis di Ponticelli)

C’è un altro motivo? Poco prima di accusare Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca del duplice delitto di Ponticelli Carmine Mastrillo incontra, nella caserma Pastrengo dei Carabinieri di Napoli, Mario Incarnato: Incarnato è un criminale ed assassino affiliato alla nuova Camorra organizzata del boss di Ottaviano Raffaele Cutolo, rappresenta a Ponticelli l’organizzazione mafiosa di Cutolo, suo fratello è il capo-zona della piazza di spaccio della droga che si trova proprio nel rione Incis di Ponticelli. Incarnato (in quel momento ospite della caserma dei carabinieri Pastrengo di Napoli in quanto dissociato dalla nuova Camorra organizzata e perciò collaboratore di giustizia nelle mani degli stessi carabinieri e della Procura della Repubblica di Napoli) incontra Mastrillo, gli parla, gli dà del denaro (Mastrillo dirà che i soldi gli erano stati offerti da Incarnato per comprare qualcosa da mangiare). Poi si reca da Luigi Schiavo e prova a convincerlo “con le buone” ad accusarsi del delitto delle bambine: dinanzi al rifiuto Mario Incarato colpisce Luigi Schiavo con una testata al viso. Tempo dopo Mario Incarnato si vanta pubblicamente di aver contribuito alla cattura di Imperante-Schiavo-La Rocca e quindi all’arresto degli assassini di Ponticelli.

E’ un aspetto molto oscuro di questa vicenda. Soprattutto perché la Camorra sapeva dell’innocenza dei tre ragazzi: al punto che nessun clan ordinò una aggressione o un omicidio nei loro confronti durante la detenzione, al punto che lo stesso Raffaele Cutolo (boss che detestava i pedofili, boss che non esitava neanche un istante a far uccidere i pedofili ed i sospetti tali, come fu per il caso della piccola Raffaella Esposito nel 1981 a Somma Vesuviana: gli uomini di Cutolo “giustiziarono” Giovanni Castiello, l’uomo che era stato sospettato di aver ucciso la piccola Raffaella dopo aver tentato di abusare di lei nelle campagne di s. Gennarello di Ottaviano) dette ai suoi uomini l’ordine di non toccarli. Carmine Mastrillo fu pressato solo dai carabinieri della caserma Pastrengo di Napoli o fu pressato anche da Mario Incarnato per accusare Imperante-Schiavo-La Rocca? Perché Mario Incarnato voleva che i tre ragazzi passassero per gli assassini di Nunzia e Barbara pur essendo innocenti e probabilmente pur sapendoli innocenti? L’assassino di Nunzia e Barbara, Gino soprannominato Tarzan tutte lentiggini, aveva o no qualcosa a che fare con la Camorra o con Mario Incarnato? La Camorra voleva che cessasse l’attenzione degli investigatori sul rione Incis di Ponticelli per salvaguardare gli affari legati allo spaccio della droga? Oppure c’era solo l’intenzione di Incarnato di aiutare gli inquirenti di Napoli a chiudere presto il caso allo scopo di trarne vantaggio per se in quanto collaboratore di giustizia?

A fronte di tutti questi elementi – nonché di quelli ricostruiti negli articoli precedenti: qui pubblicati il 31 marzo e l’11 aprile – l’autore di questo articolo auspica una revisione processuale per Ciro Imperante-Luigi Schiavo-Giuseppe La Rocca (sostenuta dal programma televisivo le Iene attraverso una raccolta firme ed una petizione) ed auspica una riabilitazione del loro nome. Così come auspica un approfondimento sul caso da parte della nuova Commissione parlamentare antimafia (la precedente Commissione se n’è occupata ma fino ad un certo punto causa la fine della precedente legislatura, depositando nel settembre del 2022 una sua relazione. La Commissione è intervenuta sulla vicenda proprio per fare chiarezza e per scoprire i motivi che hanno spinto il camorrista Mario Incarnato ad intromettersi nella vicenda giudiziaria di Imperante-Schiavo-La Rocca), in particolare con l’ascolto di alcuni testimoni chiave della vicenda (Ida Fusco – moglie del sospettato Enrico Corrado / quest’ultimo è deceduto il 6 agosto 2022 per cause naturali; Vincenzo Esposito, sospettato nel 1983; Carmine Mastrillo, falso testimone d’accusa / sua sorella Antonella è deceduta nel 2021 per cause naturali; Silvana Sasso, l’amica di Barbara Sellini che vide in faccia l’assassino, che gli parlò, che sapeva della frequentazione di costui con le due bambine, che sapeva dell’appuntamento del 2 luglio sera, che lo descrisse in maniera molto precisa agli investigatori all’epoca del fatto. A pagina 19 delle motivazioni della sentenza del processo di primo grado, 1986, si attesta che anche Carmine Mastrillo conosceva il giovane – Gino detto Tarzan tutte lentiggini, autore dell’omicidio di Nunzia e Barbara – visto e descritto dalla testimone Silvana Sasso).

Stavolta si deve arrivare fino in fondo: dopo 40 anni c’è ancora (vivo o morto che sia nel frattempo) un assassino senza il vero e completo nome dunque senza una chiara, precisa identità (ancora lo conosciamo solo come Gino soprannominato Tarzan tutte lentiggini); ci sono due creature innocenti (Nunzia e Barbara – vittime del crimine probabilmente più spaventoso avvenuto in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi) che ancora non hanno avuto verità e giustizia; ci sono tre innocenti dai cui nomi e dalla cui reputazione deve essere assolutamente, totalmente cancellata questa ingiusta ed infamante macchia. Cancellare questo clamoroso errore giudiziario, uno dei più vergognosi nella storia di questo Paese, e cancellare questa infamante macchia significa anche riscattare l’arma dei carabinieri: non merita di essere trascinata – nella sua interezza – nelle scorrettezze, nelle violenze, nella violazione di regole e leggi, negli orrori che (indegni di un Paese civile e democratico) all’epoca avvennero, qualunque fu il motivo, all’interno della caserma Pastrengo di Napoli.

a cura di Daniele Spisso

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...